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Carriere. Capitolo II – R&S del farmaco (parte 2)

Photo by Francesca Stasio

 

Tra creatività e metodo

Per chi vuole inserirsi e crescere nell’industria del farmaco deve comprendere che si entra in un mondo a sé stante, unico, lo si vede dalla peculiarità del farmaco specie nella Ricerca e Sviluppo.

Ove si paragoni l’industria farmaceutica ad altri settori vi sono differenziazioni tali da rendere questo campo davvero atipico.

Sono innumerevoli i fattori che entrano in gioco. Per esempio, il lungo periodo di tempo necessario per sviluppare e commercializzare un nuovo farmaco. Oppure l’alto grado di rischio finanziario e d’incertezza su di un prodotto, anche se già lanciato. E ancora, il largo numero di regolamentazioni e norme che governano tutte le fasi di sviluppo, produzione e commercializzazione di un farmaco; l’impossibilità di prevedere se vi sarà una nuova scoperta o un nuovo prodotto e il largo numero di variabili e fattori che sono coinvolti nelle sperimentazioni biologiche, nelle tecnologie e specialmente negli studi clinici.

E’ pur vero però che l’industria farmaceutica condivide con gli altri settori caratteristiche quali la rapidità di cambiamento dei fattori ambientali, molto spesso non prevedibili, oppure la competizione.  Ma vi sono caratteristiche davvero particolari, attinenti unicamente al mondo della ricerca del farmaco, che hanno inciso e incidono profondamente nella scoperta di nuove medicine.

Vogliamo parlare anche della creatività in opposizione al metodo, della casualità, della fortuna in opposizione agli investimenti, ai finanziamenti e alle organizzazioni articolate.

[member] Scoprire un farmaco, un farmaco utile, non è un affare tradizionale o di una certa predefinizione. E’ da rilevare anche il fatto che molti di coloro che intraprendono la carriera di ricercatori nell’industria farmaceutica non è detto che abbiano come primo obiettivo quello di scoprire una nuova molecola o un nuovo farmaco. La ragione è semplice: pensano a come far ricerca per accumulare conoscenza, il che è prestigioso di per se stesso. In altre parole, come scoprire un nuovo farmaco non fa parte del loro obiettivo. Molti sono più interessati a studiare l’efficacia e gli effetti di principi attivi o di farmaci già esistenti piuttosto che scoprirne di nuovi. D’altra parte, specie tra i giovani ricercatori, vi è molto idealismo verso la scoperta di nuove molecole, perché essa reca con sé elementi di avventura, porta alla luce qualcosa che non è ancora disponibile.

E comunque in tutto il processo finalizzato alla scoperta, la creatività può rappresentare il fattore primario o ultimativo del successo. E dunque una dote richiesta a chi si inserisce in una struttura di R&S è anche la creatività. Il ricercatore potrebbe avere la necessità di iniziare con uno o più concetti, una o più idee su come il nuovo principio attivo possa essere efficace, per esempio, in caso di cura di un tumore.

Ma che cos’è la creatività? Quali sono i suoi elementi? E’ una virtù innata? Può essere insegnata? Come si è sviluppata in un ricercatore? Un tempo la creatività era molto più in voga. Oggi sembriamo fidarci più del management e meno della creatività anche se l’abbattimento delle teorie organizzative tradizionali verso quelle di flessibilità stanno riappropriandosi dei valori di flessibilità, pensiero laterale, creatività.

Vi sono due elementi della creatività che sicuramente sono propri di un abile ricercatore. Sono due dei tre attributi di base per la creatività stessa e cioè la capacità di forte lavoro è l’intelligenza. Fattori che vanno insieme o dovrebbero. Non occorrerebbe alcuna altra qualificazione per considerare una persona abile a svolgere il lavoro di ricercatore. Ma vi è un ulteriore fattore, il terzo, per formulare un’equazione sulla creatività: è il discernimento, vale a dire la qualità per cui si è capaci di cogliere e comprendere ciò che è oscuro. Il discernimento potrebbe essere non meno importante del lavoro e dell’intelligenza, ma senza di esso il ricercatore pur volenteroso e intelligente non riuscirebbe a cogliere risultati interessanti [1].

Se il lavoro, l’intelligenza, il discernimento rappresentano gli elementi su cui gioca la creatività nella ricerca scientifica, vi è un elemento che spesso si inserisce e sconvolge gli aspetti razionali. Ed è la casualità che viene in soccorso alla creatività.

Paul Ehrlich, lo scienziato tedesco, vede in ogni scoperta scientifica l’avvalersi di quattro G: Geld, Geduld, Geschick, Gluck e cioè denaro, pazienza, abilità e fortuna. E’ la sua un’affermazione, a ben pensarci, davvero logica perché i mezzi finanziari seppur ingenti o il lavoro e l’applicazione o il metodo insieme all’intelligenza non riescono nella ricerca a fornire la chiave del successo: vi è la casualità che spesso fornisce la soluzione. E tale concetto riprende l’affermazione di Pasteur per cui “nel campo dell’osservazione il caso non favorisce che gli spiriti preparati”.

Non è la fortuna o l’occasionalità a sé stante, ma un’osservazione casuale che dà luogo alla scoperta, all’interno di un lavoro e un metodo scientifici. E’ la cosiddetta serendipità.

 

Se andiamo a considerare i farmaci presenti fino al XIX secolo e la prima parte del XX secolo, questi erano pochi e molti erano frutto della casualità, seppur nell’ambito di un metodo scientifico. Poi vennero gli antibiotici, appunto un caso tipico di serendipità nella loro scoperta da parte di Alexander Fleming. Questo scozzese, vincitore del premio Nobel nel 1945, nel 1922 aveva quarantun anni ed era ricercatore nel laboratorio di un celebre microbiologo del tempo. Affetto da un raffreddore, prende le proprie secrezioni nasali e le mette su una piastra usata per coltivare i batteri e gli eventuali germi che ne sarebbero scaturiti. Gli cade inavvertitamente una lacrima sulla piastra di coltura. Il giorno dopo si accorge che i germi sono cresciuti a eccezione del punto in cui era caduta la lacrima. E così intuisce che nella lacrima poteva esserci una sostanza ad azione antibiotica naturale. Questa idea fu accantonata fino al 1928 quando in una coltura su una piastra si verificò che in una parte i batteri non erano cresciuti a causa di una muffa che aveva contaminato la coltura. Fleming collegò il fatto a quello di sei anni prima, individuò la muffa del genere Penicillium e riconobbe il fattore fortuna in questa scoperta così fondamentale per l’umanità: “ci sono migliaia di differenti muffe e ci sono migliaia di batteri differenti e che la sorte abbia messo la muffa giusta nel posto giusto è stato come vincere alla Irish Sweep”, che era la grande lotteria irlandese abbinata alle corse di cavalli.

Ma da che cosa deriva il termine serendipità? Fu Horace Walpole, il nobile scrittore inglese che in una lettera del 1754 inviata al suo amico Horace Mann racconta di come sia rimasto colpito dalla lettura della novella The Three Princes of Serendip, in cui i protagonisti

Durante il loro viaggio continuavano a fare scoperte, grazie al caso e alla loro sagacia, di cose che non stavano cercando. Per esempio, uno di loro scoprì che un cammello cieco da un occhio era passato da poco tempo lungo la medesima strada perché l’erba era stata brucata solo sul lato sinistro, sebbene da questa parte fosse peggiore che dall’altra. Ora capisci che cosa intendo per serendipità? […] devi ammettere che nessuna scoperta di una cosa che si sta cercando rientra in questa descrizione.

Vi sono state più versioni di questa favola. La prima è stata pubblicata in Italia nel 1557 da Cristoforo Armeno a Venezia. Walpole la lesse invece in una versione francese del 1721. E’ una storia che si svolge nel V secolo d.C. al tempo di Anuradhapura a Ceylon, oggi Sri Lanka, che la leggenda vuole essere stato l’Eden di Adamo ed Eva. Ed è una storia tramandata dalla tradizione orale, di generazione in generazione fino al nucleo originario scritto nel Talmud babilonese.

I tre figli del re Jayva sono inviati in altre terre per rafforzare la loro educazione e personalità. I tre principi, Balakrama, Vijavo e Rajahsingha, iniziano il loro viaggio verso l’ignoto e subito avviene l’episodio del cammello che colpirà gli scrittori e influenzerà gli scienziati.

E’ l’incontro, nel Paese del potente imperatore Beramo, con un cammelliere disperato per avere perduto il proprio animale, fonte del proprio guadagno. I tre principi, in incognito, non l’hanno visto, ma per prendere in giro il cammelliere affermano il contrario. E forniscono tre elementi che convincono l’uomo: il cammello è cieco da un occhio, gli manca un dente ed è zoppo.

Il cammelliere ritorna precipitosamente sulla strada ma non trova il suo animale, il giorno dopo incontra di nuovo i tre principi e si lamenta dell’inganno. Ma questi aggiungono altri tre elementi, che però saranno la loro condanna: il cammello aveva una soma, carica da una parte di miele e dall’altra di burro, portava una donna e questa era gravida.

Il cammelliere non ha motivo di non credere ai tre dopo tutti questi particolari, ma pensa che gli abbiano rubato il cammello. Infatti li accusa, vengono imprigionati dal re Beramo e condannati a morte perché ladri. E sarebbero stati giustiziati se, per caso, un altro cammelliere non avesse ritrovato il cammello. Ma i tre, prima di essere liberati, devono però dimostrare come abbiano fatto a descrivere l’animale pur non avendolo mai visto.

Ecco l’abduzione o la serendipity.

Tutti i particolari sono stati immaginati, ma risultano reali per la capacità di osservazione e l’intelligenza dei tre principi in incognito.

La cecità da un occhio deriva dall’osservazione dell’erba brucata da un lato della via, nonostante quella più buona e abbondante fosse dall’altra parte. Senza un dente perché si poteva osservare che l’erba era mal tagliata. Zoppo per le impronte lasciate sulla sabbia.

E’ stupefacente l’abduzione riguardante il carico: il miele da una parte e il burro dall’altra scaturivano dall’osservare da una parte le formiche amanti del grasso e dall’altra le mosche amanti del miele. E la donna? Poiché si era fermata a urinare durante una sosta, l’urina aveva incuriosito uno dei principi notando lì vicino delle piccole orme, che potevano essere di donna o di ragazzo, ma dall’odore dell’urina aveva dedotto trattarsi di una donna in stato interessante.

La novella finisce molto bene per i tre principi di Serendip. E ha dato fortunatamente luogo al criterio dell’abduzione nella scoperta scientifica. E’ “lo stile della ragione” che ugualmente usa Voltaire nel narrare del so personaggio Zadig.

Proprio alla serendipità devono essere ricondotte scoperte fondamentali. Quella del chinino, presente nella corteccia del quinaquina, l’albero il cui ramo era in una pozza d’acqua che dissetò un indio peruviano nel XVII secolo febbricitante di malaria e che lo guarì. E la scoperta dell’indio fu poi divulgata dai gesuiti.

Ma anche quella dei tre più noti dolcificanti, la saccarina, l’aspartame e il sodio ciclamato, sono dovuti alla casualità durante alcune sperimentazioni di laboratori. Oppure la scoperta dell’insulina che ebbe origine dall’osservazione dei nugoli di mosche sulle urine di cane, che analizzate si rivelarono piene di zucchero come le urine di un malato di diabete. Questa scoperta fu l’inizio delle successive acquisizioni di Frederick Banting e di Charles Best.

E’ dovuta alla serendipità anche la scoperta che ha condotto all’eradicazione del vaiolo: infatti Edward Jenner fu protagonista di un caso di serendipità a scoppio ritardato, dato che solo nel 1758 si ricordò di aver avuto un colloquio con una mungitrice che era stata affetta da vaiolo vaccino e quindi immune da quello umano.

Se poi andiamo oltre, due secoli più tardi, vediamo che Michael Zasloff, ricercatore del National Institute of Child Health and Human Development di Bethesda, stava utilizzando alcune rane di laboratorio per i suoi studi sulle infezioni respiratorie per i bambini malati di fibrosi cistica. Osservò, per puro caso, che nella pelle di rana ci sono sostanze capaci di difendere dalle infezioni. Sostanze che chiamò magainine. La scoperta risale al 1986. Zasloff fondò una sua azienda, la Magainins Pharmaceuticals che si occupa solo di antibiotici derivati dagli animali [2].

Uno dei più noti casi di “serendipity” riguarda il Viagra, farmaco per la disfunzione erettile, che fu sviluppato per una differente indicazione. Infatti la R&S aziendale stava investigando sulla ipertensione verso l’angina. Tuttavia negli studi di tollerabilità saltò fuori un effetto laterale inusuale, quello appunto che ha dato luogo alla indicazione attuale di un farmaco globale come il Viagra.

 

 

[1] Beyer Karl, Discovery, Development and Delivery of new drugs, Spectrum Publications Inc., New York 1978.

[2] Dri P., Serendippo, Editori Riuniti, 1994. [/member]