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Carriere. Capitolo III – Gli stabilimenti produttivi in Italia e le Contract Manufacturing Organizations

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Le peculiarità di questo settore, per quanto riguarda il livello organizzativo e professionale, risiedono nella qualificazione di personale tecnico (dal laboratorio allo sviluppo di tecnologie originali per la produzione industriale), nella gestione degli Audits, e nella presenza di esperti in Qualità e Regolatorio. Si tratta di chimica fine sofisticata (sintesi, fermentazioni, estrazioni) con produzione soggetta al rispetto delle GMP (Good Manufacturing Practices) sulla base delle ispezioni di Autorità Regolatorie (FDA, AIFA).
Il panorama dell’industria farmaceutica italiana relativo agli stabilimenti di produzione farmaceutica, intesa come preparazione e confezionamento di specialità medicinali per uso umano e veterinario, è complesso, ma allo stesso tempo fornisce elementi di alta qualificazione tecnologica, impiantistica, manageriale e specialistica.
[member] Quella della produzione farmaceutica, accanto alla produzione di principi attivi, è senz’altro un’area di eccellenza dell’industria farmaceutica italiana. Non solo per le oggettive qualificazioni ma per il livello degli stabilimenti che producono per i mercati più sofisticati anche per quanto attiene il mercato interno delle multinazionali.
Le aziende a controllo italiano possiedono un sistema produttivo consistente (tra le maggiori: Menarini, Zambon, Chiesi, Recordati, Dompé, Bracco, Italfarmaco, Angelini, Alfasigma e altre) ma è davvero elevata la presenza di stabilimenti di multinazionali estere. Tra queste, Pfizer (con gli stabilimenti ad Ascoli Piceno, Aprilia e Catania), BMS (Anagni/FR), Sanofi (Anagni/FR, Scoppito/AQ, Brindisi, Garessio/CN, Origgio/VA), Novartis (Torre Annunziata/NA), Abbott/Abbvie (Aprilia/LT), GSK (Verona, Siena, San Polo di Torrile/PR), Eli Lilly (Sesto Fiorentino), Janssen (Latina), Roche (Segrate/MI).
Sono altresì presenti stabilimenti di società con specializzazioni, come ad esempio nel settore dei vaccini, dell’oftalmologia ed in particolare delle produzioni biofarmaceutiche e biotecnologiche.
Il panorama produttivo italiano fa comunque sostanzialmente parte della transnazionalità del settore farmaceutico, per cui sia le tendenze globali sia le strategie aziendali sia gli avanzamenti tecnologici si riflettono sulla strutturazione del nostro sistema produttivo. L’assetto produttivo è basato quindi su criteri quali la specializzazione produttiva dei siti per tipologia di specialità (solidi, orali, liquidi, biofarmaceutici, vaccini, ecc.), con mercati internazionali da servire, il “contract manufacturing” che è realtà emergente che si evidenzia sia per il sistema dei costi sia per la specializzazione, sia come conseguenza delle ristrutturazioni derivanti da M&A ed in generale dall’eccesso di capacità produttiva presente.
Per le imprese italiane, le unità produttive sono normalmente situate nei luoghi di origine a meno che, attraverso successive razionalizzazioni o acquisizioni o fusioni vi sia stata la creazione di nuovi stabilimenti. Diciamo che, in generale, gli investimenti su nuovi stabilimenti manifatturieri sono stati effettuati in modo consistente fino agli anni Ottanta (per esempio Dompé a L’Aquila o Serono a Bari), mentre in generale gli altri insediamenti esistevano già dagli anni Sessanta e Settanta. Negli anni Sessanta abbiamo assistito alla creazione di unità produttive da parte di multinazionali statunitensi in particolare nel Lazio ed in Lombardia. Nel Centro Sud si installano Pfizer, Squibb, Janssen, Abbott, Wyeth, Wellcome, Ciba, Cyanamid, Serono, Eli Lilly. Nel Nord, le multinazionali stabiliscono i propri siti produttivi in Veneto (Glaxo), in Lombardia (Rhône-Poulenc Rorer, Ciba Geigy, Schering Plough, Zeneca, Parke Davis, Schering, Roche, Boehringer Mannheim, ecc.). Le ragioni per tali investimenti da parte delle multinazionali sono state molteplici, spinte da un mercato positivo e da una domanda sempre maggiore e quindi con necessità di creazione di capacità produttiva. I motivi strategici si sono accompagnati a quelli di natura fiscale, di mercato specifico italiano, ma in particolare di forti competenze tecnologiche e manageriali proprio in questo settore produttivo. Naturalmente le società a capitale italiano hanno costituito la parte prevalente a livello manifatturiero e, accanto agli stabilimenti storici delle varie società, sono sorti nuovi impianti e sono state acquisite tecnologie ed impianti avanzati, tali da soddisfare i mercati e la complessità regolatoria e normativa di livello internazionale.
In effetti le dimensioni dei mercati, le fusioni ed acquisizioni hanno comportato investimenti di specializzazione sia tecnologica sia di forme produttive, fenomeno molto intenso durante gli anni Novanta. Peraltro gli spin-off o i management buyout, che si sono verificati in occasione di fusioni ed acquisizioni, hanno dato luogo alla formazione di società a principale vocazione manifatturiera specie sul mercato locale oppure con contratti consistenti di fornitura per le aziende che cedevano gli impianti.
Come già osservato, organizzativamente le imprese hanno mostrato e consolidato la tendenza a identificare tutta l’area tecnico-produttiva come a sé stante. Le grandi multinazionali così come le aziende medio-grandi di livello regionale si concentrano sulla Ricerca e Sviluppo e sul Marketing, e considerano le operazioni produttive come business indipendente.
Infatti tutta la filiera manifatturiera sia dei principi attivi sia del finishing riporta ad una struttura di business che non interagisce con la ricerca e con il marketing. Ripetiamo, sembrano quasi aziende a sé stanti o strutture che possono essere facilmente divisionalizzate, staccate e comunque flessibili rispetto ai costi aziendali. Mentre fino agli anni Novanta il manifatturiero interagiva intimamente nei processi aziendali, oggi la focalizzazione su Ricerca e Sviluppo e sul Marketing rende il prodotto essenziale ma acquisibile anche altrove e comunque soggetto ad un alto livello di efficienza e di qualità.
La prospettiva globale del settore manifatturiero farmaceutico è necessariamente collegata alle criticità dei business models sino ad oggi adottati. Ne è conseguente il riallineamento anche del grande tema dell’efficienza operativa delle organizzazioni, in particolare delle grandi aziende farmaceutiche.

Outsourcing e contract manufacturing operations

Le industrie farmaceutiche, multinazionali e non, hanno già iniziato o consolidato esperienze di outsourcing nel software e nei servizi. Ora il fenomeno sta interessando sia lo sviluppo di molecole e la progettazione di terapie che la produzione.
L’esternalizzazione deriva da problematiche di costo ma anche di abbondanza di cervelli nei mercati indiani e cinesi, mercati che costituiscono oggi una valida frontiera per l’outsourcing. In questo caso particolare, significa trasferimento tecnologico e migrazione di competenze, oltre che concentrazione di investimenti. Con problemi che si riversano sulle strutture del nostro Paese che vedono trasferite produzioni, cancellati investimenti e delocalizzati siti produttivi. Azioni effettuate maggiormente dalle cosiddette “big pharma”.
Ma il fenomeno dell’outsoucing, indipendentemente dalle logiche multinazionali globali, investe normalmente la struttura produttiva aziendale anche nel nostro Paese. La necessità di efficienza operativa, l’apparire di talune società di tecnologie (che possono divenire forti player nello sviluppare avanzamenti di processo per le farmaceutiche), e specialmente il consolidarsi delle cosiddette CMO (Contract Manufacturing Organizations) stanno modificando l’approccio delle aziende, che tendono al taglio dei costi e delle strutture eccessivamente inutili.
Si tratta, a livello di considerazione generale, del fenomeno dell’outsourcing manifatturiero che nel farmaceutico troviamo nella produzione di principi attivi attraverso le cosiddette attività di Custom Manufacturing e nelle specialità medicinali di Contract Manufacturing, cioè il commissionare all’esterno una o più fasi del processo produttivo. In particolare, per quanto concerne l’industria farmaceutica, il Contract Manufacturing può riguardare tutte le diverse fasi del processo produttivo: la produzione degli intermedi e dei principi attivi, la formulazione e il dosaggio del farmaco finito, i processi fisici (quali la micronizzazione, la granulazione, la macinatura, la liofilizzazione) fino all’imballaggio del farmaco finito. In teoria, l’azienda farmaceutica potrebbe divenire “virtuale” in cui tutte le fasi del processo produttivo vengono realizzate all’esterno. E le CMO possono realizzare tutta la filiera produttiva, mentre l’azienda farmaceutica tiene per sé la ricerca innovativa, il marchio e la commercializzazione del farmaco.
Il mercato dell’outsourcing è ancora frammentato e non omogeneo, con poche grandi aziende multinazionali che sono in grado di soddisfare i sempre più stringenti requisiti regolatori. Patheon è l’esempio di società di Contract Manufacturing, di fornitore globale di specialità prodotte in outsourcing e di servizi di sviluppo a favore di società farmaceutiche e biotecnologiche.
Una visione generale del settore manifatturiero farmaceutico deve fotografare quello che in un concetto ampio possiamo definire il Farmindotto: a monte le aziende di materie prime, intermedi e principi attivi, di materiali, ma anche di macchine ed impianti, mentre a valle della specialità farmaceutica prodotta vi sono i distributori e le farmacie. Il settore delle macchine ed impianti per le produzioni farmaceutiche è di eccellenza a livello internazionale.
Infine è da rilevare come, indipendentemente dalla strutturazione del business manifatturiero all’interno della filiera dell’industria farmaceutica, i contenuti delle attività sia produttive, sia di qualità, sia tecnico-impiantistiche siano altamente qualitativi ed ammettano un elevato livello di processi e di metodologie (Standard Operating Procedures e Good Manufacturing Practice), accanto a comprovati valori scientifici e manageriali. Questo comporta innovazione, alta conoscenza scientifica ed ingegneristica, attraverso i migliori principi della gestione della qualità per rispondere alle problematiche di industrializzazione dei prodotti innovativi. Certamente le normative regolatorie alzano il livello della competenza e della sfida.
Gli elevati standard qualitativi, la complessità della conoscenza sia impiantistica sia produttiva, le innovazioni costanti tecnologiche, le complessità informatiche rendono gli stabilimenti farmaceutici luoghi in cui la competenza tecnico-scientifica ed i valori manageriali sono condizioni necessarie, ove si voglia competere a livello globale e sui mercati più sofisticati.
Le risorse professionali espresse dagli stabilimenti situati in Italia forniscono affidabilità elevate. Ciò proviene sia dalla storia di successo del comparto manifatturiero, sia dalla formazione universitaria chimica e ingegneristica che il nostro sistema ci ha fornito, sia dall’abitudine degli addetti al manifatturiero a muoversi in un contesto evoluto ed internazionale. Esperti della produzione, della qualità, del material management, del settore tecnico-impiantistico danno risposte affidabili nelle varie fasi della produzione ed ancor prima nei processi di industrializzazione del prodotto.
Le complessità tecnico-produttive nonché la forte interdipendenza con il mercato fanno del responsabile delle operazioni manifatturiere un personaggio chiave non solo a livello di membro del comitato strategico societario, ma anche di responsabilità di business che può essere a sé stante. Il controllo dei processi manifatturieri, il coordinamento delle risorse, gli investimenti in conto capitale, l’attenzione alle attività di outsourcing, gli standard di qualità ed infine l’efficienza della distribuzione sono tutti aspetti che debbono avere un alto grado di affidabilità. [/member]