Il ritratto del “bravo manager”: attitudini e competenze

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Prende decisioni rapide, è alla continua ricerca di innovazione. E’ responsabile, trasparente, sa comunicare e condividere. Sempre più “leader” e sempre meno “capo”.
Questo, il profilo del “bravo manager bravo”, stilabile dallo studio effettuato da Federmanager insieme a The European House Ambrosetti, sul management italiano efficace e responsabile.

Nel periodo da luglio a settembre 2018 è stata effettuata un’indagine qualiquantitativa su un campione di manager italiani. La fase quantitativa è stata realizzata attraverso la distribuzione del questionario “BMB” – Bravi Manager Bravi, composto da 120 domande. È stato distribuito a 26.000 iscritti a Federmanager su tutto il terri-torio Nazionale ed è stato attivo per 2 settimane.

Il questionario BMB è stato costruito considerando competenze manageriali (quelle del “Bravo Manager”) e gli orientamenti personali, ovvero i valori etici, i driver motvazionali e l’apertura/chiusura verso “il nuovo” (quelle del “Manager Bravo”).
Tra le competenze tecniche, lo studio rileva dunque due principali qualità riconosciute al “Bravo manager”: eccellenza operativa e imprenditorialità. Quest’ultima intesa anche come la capacità di decidere tempestivamente e dare impulso a una forte iniziativa personale.
Tra le qualità personali del “Manager bravo”, invece, la ricerca identifica quali valori fondamentali e caratteristiche primarie: la sincerità (capacità di essere trasparente e propenso alla condivisione di informazioni), la “democrazia” (in termini di leadership) e l'”azione” (capacità di rendere sostenibili le decisioni nel medio-lungo periodo e la risoluzione di problemi contingenti). Quasi la metà dei rispondenti mostra un forte orientamento al problem solving e all’ottimizzazione delle risorse.

Lo studio ricorda il peso delle PMI italiane nel nostro Paese, che producono oggi circa il 40% del manifatturiero e il 50% degli occupati del settore. E quanto sia dunque a rischio la meritocrazia, in un un contesto in cui circa il 70% delle aziende è gestita da un management “di famiglia”.
Il reclutamento di figure professionali dall’estero risulta carente, rispetto ai competitor internazionali. E se e la qualità del management è direttamente correlata alla dimensione delle imprese, più una impresa cresce nelle dimensioni, più si dovrà spingere ad utilizzare figure specializzate.
L’esistenza di un numero ampio di imprese familiari con un intero management “espressione della famiglia” ha conseguenze sul basso livello di meritocrazia e sulla presenza di una cultura basata su lealtà e fidelizzazione.

La soluzione? Secondo i ricercatori, implementare politiche a livello nazionale che favoriscano in maniera significativa la crescita dimensionale delle aziende italiane. E, in questo modo, supportare la necessaria competenza gestionale indispensabile per competere adeguatamente sul mercato.