People & Management

A proposito dell’importanza o meno del titolo di studio

photo by Etienne Girardet

 

Valutare le competenze “sulla carta” (approccio spesso fuorviante) può essere un metodo piuttosto pigro e limitato nel reclutare le risorse solo apparentemente migliori. Le aziende devono guardare oltre a diplomi e lauree, se non vogliono mettersi da sole i bastoni fra le ruote, concentrandosi su obiettivi sbagliati e affrontando sempre le stesse sfide.

Google e Apple hanno ufficialmente comunicato (Agosto 2019) che il titolo universitario non è più condizione necessaria all’assunzione in azienda. Sono i primi passi verso l’inclusione e la gestione efficace di quei c.d. “talenti ribelli” descritti da M. Rizzi nel suo testo “Talenti & Ribelli”, Hoepli editore, 2019. Il testo si fa portavoce di tutti i “ribelli” che vengono spesso isolati o soltanto tollerati in azienda, perché scomodi e difficili da gestire. Una guida per gli irrequieti e per le imprese. Perché probabilmente il business ha bisogno dei Talenti per rinnovarsi e dei Ribelli per sopravvivere. [member]

L’università è solo uno strumento di istruzione, ma lo stesso si può dire di Internet. Al giorno d’oggi, i laureati in economia o in medicina che hanno iniziato ad usare internet per sviluppare competenze in materia di video editing o programmazione – facendone la loro fonte di reddito principale – non mancano. Esistono infinite risorse online che hanno risolto il problema dell’accesso all’istruzione a bassi costi. Ciò significa che se i titoli universitari smettessero di essere una discriminante per trovare lavoro la maggior parte delle persone probabilmente inizierebbe un percorso di autoapprendimento mirato a sviluppare le competenze più calzanti al proprio schema mentale. Così ci si mette in condizione di contribuire in modo molto più attivo al benessere della propria azienda che non con un titolo di studio tradizionale.

Il problema è che se la tua azienda usa il criterio dei titoli di studio ottenuti molti anni prima per stabilire chi possa far parte del top management, i ribelli o gli “atipici” resteranno tagliati fuori e tu finirai per perderli. Ecco perché la percentuale di ribelli/atipici nelle grandi aziende di solito è così bassa. Le aziende old-school aprono le porte tipicamente sempre allo stesso tipo di persone, creando quindi un ambiente di lavoro molto omogeneo. Il vero scopo, invece, dovrebbe essere quello di attrarre talenti diversificati fra loro.

IBM è una delle aziende che hanno invece deciso di abbracciare un cambio culturale. L’azienda ha dichiarato l’importanza di assumere i candidati sulla base delle loro abilità e non limitandosi a considerare i titoli di studio. La prima sostanziale differenza è che IBM ha iniziato a valutare i dipendenti sulla base delle loro competenze tecniche invece di basarsi sul curriculum universitario. I candidati che abbiano sviluppato competenze tecniche tramite corsi specifici o con qualsiasi altro mezzo che permetta loro di essere preparati dal punto di vista pratico, anche senza aver conseguito una laurea tradizionale, sono assunti. Un altro passo nella giusta direzione e per sfuggire ai dettami di un ottuso “abbiamo sempre fatto così”.

Se hai visto il film “The Founder”, che racconta la storia dell’impero McDonald’s, probabilmente ricordi la scena topica in cui Donald Lubin, l’avvocato storico che aiuta Ray Krok (protagonista e fondatore, appunto) agli esordi del suo business, dice al suo assistito: “Ray, tu non lavori nella ristorazione. Tu lavori nel settore immobiliare”. Fu così che McDonald’s iniziò ad acquistare i terreni su cui costruire i ristoranti per affittarli ai gestori, facendo la sua fortuna.

L’organizzazione aziendale ha bisogno che il profilo atipico/ribelle vi partecipi e ne analizzi il funzionamento da cima a fondo e lo riassesti per favorirne la crescita. [/member]