UCB e l’Activity Based Working

photo by Markus Spiske

 

Per UCB, multinazionale biofarmaceutica, l’anno e mezzo di pandemia ha rappresentato la possibilità di “sperimentare” un modo di lavorare diverso. E questo ha prodotto una serie di novità: la riorganizzazione degli spazi di lavoro, un ampliamento dell’organico con 35 nuovi dipendenti, scrive AdnKronos, e un nuovo modo di lavorare, a partire dal modello ibrido che limita al 40% del totale il tempo trascorso in ufficio.

Grazie alla collaborazione di un team di architetti, professionisti del mondo HR e psicologi, l’azienda ha intrapreso una ristrutturazione degli spazi di lavoro, basata sul modello dell’Activity Based Working, fondato sull’idea che i dipendenti sono più produttivi se hanno a disposizione gli spazi adatti per le attività da svolgere.

Dove prima si trovavano tradizionali scrivanie in open space, sono state costituite aree orientate al confronto creativo più che al lavoro in solitaria. L’azienda ha riconosciuto e riaffermato il valore della flessibilità e dello smart working. In che modo? Utilizzando l’ufficio come “innovation e co-creation hub”, dove i dipendenti si incontreranno per lavorare in team. Una conseguenza, questa, anche dell’esigenza di conservare in ogni caso l’importanza della relazione in presenza con i dipendenti.

L’Activity Based Workspace è un concept che mette a sistema tecnologie, processi e flussi informativi per creare ambienti più dinamici e funzionali. Rappresenta dunque, in generale, un modello disruptive che abbandona il concetto “fisico” di scrivania. La nuova filosofia è che il lavoro è soprattutto ciò che si fa (e come lo si fa).

Il percorso di profondo cambiamento culturale associato a un concetto di lavoro agile richiede certamente un’evoluzione dei modelli organizzativi aziendali, per cui si deve prevedere una roadmap multidisciplinare, che presuppone una governance integrata tra tutti gli attori coinvolti.