GSK acquista Tesaro e rafforza il business oncologico

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L’accordo di oggi «rafforzerà la nostra attività farmaceutica accelerando la costruzione della nostra pipeline oncologica e la nostra impronta commerciale, oltre a fornire accesso a nuove capacità scientifiche. Questa combinazione sosterrà il nostro obiettivo di offrire una crescita sostenibile a lungo termine ed è coerente con le nostre priorità di allocazione del capitale. Non vediamo l’ora di lavorare con il talentuoso team di Tesaro per portare nuovi preziosi medicinali ai pazienti».
Così Emma Walmsley, CEO di GSK, ha commentato la decisione da parte del colosso farmaceutico anglosassone di investire 5,1 miliardi di dollari nell’acquisto di Tesaro, azienda biofarmaceutica americana specializzata in farmaci oncologici.

GlaxoSmithKline punta quindi nuovamente sull’oncologia. Tesaro, infatti, con sede a Waltham (Massachusetts) e quotata al Nasdaq, sta sviluppando un trattamento contro il carcinoma ovarico: GSK farà suo il niraparib, un inibitore orale del PARP (poly ADP ribose polymerase) approvato per il tumore ovarico con e senza mutazione BRCA e già in commercio.

Niraparib ha generato ad oggi un fatturato di $166 milioni (dati gennaio-settembre 2018) e, secondo Tesaro, le vendite complessive del farmaco per il 2018 oscilleranno tra i 233 e i 238 milioni di dollari. Secondo le stime di Bloomberg, nel 2023 Zejula (il marchio del farmaco), dovrebbe raggiungere un valore di vendite intorno al miliardo di dollari.

Zejula non è ancora tuttava leader di mercato, considerato che le sue vendite ad oggi rimangono inferiori rispetto a quelle di olaparib di AstraZeneca. E il farmaco dovrà subire la concorrenza di Rubraca, altro pARP inibitore commercializzato da Clovis Oncology.

Inoltre Niraparib è in studio in popolazioni di pazienti c.d. “all-comers” (tutti i pazienti che soddisfano i criteri di ammissibilità, senza uno stato specifico di un determinato biomarcatore), in monoterapia e in combinazione, per il trattamento di mantenimento di prima linea del cancro ovarico. Il primo di questi studi, denominato PRIMA, avrà risultati analizzabili solo dalla seconda metà del 2019.