Ricercatori italiani: a volte ritonano

Photo by Mantas Hesthaven

 

Sono circa 14 i miliardi di Pil che – secondo il centro Studi di Coinfindustria – l’Italia rischia di perdere ogni anno per gli studenti che si formano nelle nostre università ma che poi decidono di emigrare all’estero, alla ricerca di più sicure opportunità lavorative.

Il tema è cruciale, questo è ovvio. E dopo un periodo certamente non positivo, caratterizzato da una classifica europea che ci vede agli ultimi posti per numero di laureati, qualche segnale positivo sembra giungere da un rapporto del Joint Research Center della Commissione Europea, che ha preso in esame i movimenti di più di 6mila studenti europei.

Secondo il rapporto, che analizza la mobilità dei ricercatori per Paese di origine, in termini di ritorni ed uscite, l’Italia si piazzerebbe circa a metà classifica, con un tasso di spostamento del 45%.

Buone notizie, in particolare, visto il saldo positivo tra ingressi di capitale umano ad alto valore aggiunto ed uscite: dei nostri 409 connazionali presi in considerazione, circa uno su quattro ha deciso di rientrare in Italia (24,4%), a fronte di un 20,5% di partenti.

Merito degli incentivi degli ultimi anni ai rientri? Probabilmente si. E, in generale, dei diversi canali di attrazione messi in piedi dall’European Research Council (Erc).

Di sicuro il paper del Jrc dovrà essere anche un incentivo a rivedere le complessità burocratiche che rendono il nostro Paese scarsamente attrattivo. Sia agli occhi dei giovani, praticamente costretti a “fuggire” al termine degli studi, sia degli stranieri potenzialmente interessati a valorizzarsi in Italia.