GSK e la rivoluzione manageriale

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Astrazeneca, Genentech, Google, Novartis, Teva. Solo alcuni dei nomi delle migliori compagnie al mondo, dalle quali la più grande società farmaceutica del Regno Unito – parliamo di GlaxoSmithKline – è riuscita a “pescare” talenti manageriali accogliendoli ai propri vertici.

L’inserimento in azienda di nomi quali Luke Miels ed Hal Barron, quest’ultimo uno dei volti noti nel mondo oncologico, rientrano all’interno del radicale progetto di rinnovamento delle posizioni direttive che Emma Walmsley, CEO, ha iniziato ad intraprendere dal suo arrivo in GSK, lo scorso marzo.

Nel corso di un’intervista alla CNBC – e pochi giorni fa alla JP Morgan Healthcare Conference di San Francisco – la Walmsley ha affermato che “al di à dell’operatività a breve termine, gli sforzi saranno tutti concentrati sulla ricerca e sviluppo e sulla preparazione della prossima ondata di crescita prevista a partire dal 2020”.

Il piano di “ristrutturazione” sia in termini di Human Resources, attraverso soprattutto l’inserimento di new talents dall’esterno, sia in termini di Business, attraverso una riduzione dei marchi farmaceutici e un ridimensionamento dei centri produttivi, era stato già annunciato mesi fa. E in effetti, ben 50 top manager sono stati sostituiti (il 40% dei più alti dirigenti di GSK, provenienti da tutte le aree: dal consumer care fino all’oncologia), anche grazie a promozioni e crescite interne.

Se e quanto il business e la pipeline risentiranno di questi cambiamenti, è ancora tutto da vedere.