photo by Trust “Tru” Katsande
Gli sviluppi della pandemia da Covid-19 stanno innescando tutta una serie di ipotesi terapeutiche avanzate da medici e ricercatori. In particolare, accanto all’utilizzo di farmaci come antivirali, antinfiammatori e anticorpi monoclonali, una delle opzioni terapeutiche più caldeggiate è quella che prevede l’utilizzo del plasma dei pazienti guariti, per fornire ai malati gli anticorpi utili a contrastare l’infezione. Tra i primi centri ad avviarsi su questa strada, come raccontanel suo articolo Enrico Orzes su Osservatoriomalattierare.it, ricordiamo l’Azienda Socio-Sanitaria Territoriale di Mantova e il Policlinico San Matteo di Pavia. All’interno di quest’ultimo è già partito uno studio clinico per valutare l’efficacia terapeutica delle infusioni del cosiddetto “plasma iperimmune” negli individui colpiti da COVID-19, con gravi difficoltà respiratorie.
A livello internazionale, l’uso del plasma ricco di anticorpi dei soggetti guariti dalla malattia è un’opzione perseguita anche dai medici americani e canadesi. Inoltre è stata precedentemente sperimentata in altre condizioni epidemiche, come raccomta la dott.ssa Giustina De Silvestro, direttore dell’U.O. Immunotrasfusionale presso il Dipartimento di Medicina Trasfusionale dell’Azienda Ospedale Università di Padova. Lì dove ha preso avvio un analogo protocollo di studio su cinquanta pazienti affetti da COVID-19.
L’utilizzo del plasma
La De Silvestro ha spiegato che “La sieroprofilassi tramite somministrazione del plasma dei guariti non è una proposta nuova. Infatti, vi siamo ricorsi molto di recente per il trattamento di pazienti con infezione in corso da West-Nile virus e, negli anni scorsi, è stata utilizzata anche nel trattamento di casi di Ebola e di pazienti colpiti da insufficienza respiratoria legata all’infezione da SARS-CoV (Sud-Est Asiatico), e da MERS-CoV (Medio-Oriente). Inoltre (…) abbiamo potuto osservare che al termine di pesanti cicli di terapia, quando i piccoli pazienti affetti da patologie leucemiche o emato-oncologiche tornavano in famiglia, il loro status di immunocompromessi li rendeva più esposti a patologie. Come la varicella, che contraevano spesso da fratelli o sorelle. Incorrendo così nello sviluppo di polmoniti interstiziali gravissime, per certi versi analoghe a quelle che osserviamo nei pazienti affetti da COVID-19. Perciò, in assenza di altre terapie, per trattarli ricorrevamo con buoni risultati al plasma raccolto da donatori che avessero contratto la varicella o una forma di herpes zoster”.
Il plasma dei guariti è quindi una risorsa terapeutica già collaudata in diverse condizioni mediche, e che adesso, con il medesimo razionale, i medici stanno provando ad utilizzare per combattere COVID-19.
Il “Plasma Iperimmune”
“Bisogna precisare che quella che si basa su plasma iperimmune è una terapia immunomodulante, profondamente diversa da un vaccino”, spiega De Silvestro. “Il vaccino determina una immunizzazione attiva, grazie alla quale stimola l’organismo che lo riceve a produrre anticorpi specifici contro una determinata malattia. In questo caso, invece, gli anticorpi sono già stati prodotti da un altro individuo e possono essere trasfusi nel malato che non ne abbia in quantità sufficiente da superare in maniera rapida la malattia. Si parla dunque di una immunizzazione passiva”.
Questo tipo di ricerca parte dal presupposto che il plasma iperimmune contenga anticorpi capaci di difendere l’organismo dall’attacco del virus e che possano mantenere l’immunità così raggiunta. Un obiettivo che tuttavia – al fine di essere perseguito – deve superare la fase teorica e passare attraverso la prova pratica degli studi clinici.
Lo studio clinico
Essendo l’infezione da SARS-CoV-2 una malattia nuova, i ricercatori padovani hanno costruito un nuovo protocollo di studio clinico, partendo da un position paperche traccia le linee guida per la produzione di plasma iperimmune. La sperimentazione è stata poi approvata dal Comitato Etico provinciale e dal Centro Nazionale Sangue.
L’obiettivo dello studio in svolgimento a Padova è il trattamento di 50 pazienti con un quadro clinico grave e segni di insufficienza respiratoria. Il protocollo di somministrazione prevede infusioni di volumi da 200 a 600 mL di plasma iperimmune una volta al giorno per tre giorni consecutivi. Secondo uno schema che può anche essere ripetuto in caso di una risposta positiva più lenta. “Contiamo di avere i risultati già nella seconda metà di aprile, proseguendo poi per tutto il mese di maggio” ha commentato De Silvestro.