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E’ di poche settimane fa l’annuncio di Pfizer sulla modifica della propria organizzazione a partire dal prossimo anno. Si strutturerà in 3 Business Units: Innovative Medicines, Estabished Medicines e Consumer Healthcare. Abbandona l’attuale modello. Che cosa provocherà su strutture e management, tenuto conto che si tratta di una Società determinata nelle proprie ristrutturazioni?
A volte, forse superficialmente, si commenta come il disegno organizzativo, specie delle aziende multinazionali life science ma anche farma italiane internazionali, venga influenzato dalle analisi delle grandi società di consulenza come McKinsey o BCG. Si parte dalle opzioni di disegno strategico e competitivo per la creazione di valore, per poi delineare anche strutture e processi. Le stesse big consulenziali replicano poi analoghi modelli nelle altre aziende. E questo è vero nel farma dove ci si affida alla McKinsey del caso ed i modelli organizzativi sembrano a volte un copia/incolla con poche varianti. [member]
Una curiosità: Peter Drucker, il fondatore della disciplina del management, osservava come nella seconda metà del Novecento la penetrazione degli USA nell’economia occidentale fosse accompagnata dalla influenza nella costruzione di modelli organizzativi e manageriali.
Ed in questa “campagna di conquista” lo strumento consulenziale fosse egemonizzato da società di consulenza statunitensi, appunto quali McKinsey. Indipendentemente dai modelli strutturali, la vera questione riguarda la complessità dell’industria farmaceutica che richiede anche importanti capitali umani ed intellettuali con ruoli specializzati. Il che comporta in una organizzazione differenziazioni al suo interno di tipo verticale, orizzontale, spaziale.
Ma siamo nel terreno delle conseguenze di strategie che alimentano le decisioni organizzative. Che cosa accade se l’obiettivo è la riduzione dei costi? Qui Pfizer è stata benchmark attraverso ristrutturazione interna e mergers. Oppure se la focalizzazione è su R&D, il cui campione può essere considerata Eli Lilly, con open innovation system, per cui si abbattono le strutture di ricerca interne per creare un modello in networking? Oppure ancora se il focus è sulla commercializzazione?
Discende dalle risposte a queste domande l’adattamento organizzativo, declinato da talune premesse principali. Quella della tipologia di business (da biopharma a biotech, a rare diseases, da specialties a primary care e generici ed altri). Quella delle implicazioni culturali e geografiche per guidare il business.
Ma In particolare incidono i valori degli azionisti i cui rappresentanti siedono nei Boards. Si tratta della differenza rappresentata da società quotate, da quelle controllate da Fondi e da quelle detenute da nuclei familiari fino alle piccole/medie aziende, da start-up con strutture virtuali.
Quello che risulta in primo impatto è la differenza tra organizzazioni di cultura statunitense e quelle europee o giapponesi o specifiche del nostro territorio. Anche se è vero che la grande azienda quotata deve avere una visione organizzativa certamente differente dalla media azienda non quotata.
Dunque il principio di tutto è la tipologia dello shareholder e la funzionalità dell’organizzazione ai suoi obiettivi di espansione, riduzione, focalizzazione, M&A, geografia, etc. Ciò che appare evidente è che le imprese farma hanno necessità periodicamente di adattare le proprie strutture. Per una buona e semplice ragione: benefici e disfunzioni dipendono dallo schema organizzativo.
Quindi è la strategia di business o quella per il futuro che decide i modelli, se funzionali, divisionali, SBU, matriciali o circolari, integrandosi con gli stili di leadership.
Ma quali sono le differenziazioni nelle strutture di imprese farmaceutiche operanti in Italia? Quali le diversità tra imprese a controllo familiare, filiali di multinazionali, o dimensioni specifiche?
Per comprendere il disegno organizzativo è opportuno considerare gli organismi di governance: il Cda ed i Comitati di Direzione.
Partiamo dal Cda/Board.
Source: Frezza&Partners
Dobbiamo far riferimento alla differenziazione dell’azionariato: tra quello diffuso e/o società quotate e quello padronale e/o manageriale. L’Assemblea dei Soci (azionisti o rappresentanti degli stessi, che possono essere espressione di finanziarie, holding, fondazioni, etc.,) nomina il Consiglio di Amministrazione, formato da Consiglieri (o Directors) e da Consiglieri Indipendenti (Non-executives Directors). I primi sono normalmente anche membri del Comitato Esecutivo, i secondi sono espressione della business community o di quella scientifica o accademica o finanziaria. Il CdA, presieduto da un Presidente, assume la Governance societaria sia delegando al Ceo la responsabilità operativa sia con strumenti di valutazione attraverso i Comitati di Audit, Compensation, Risk, Advisory, etc.
Per l’azionariato costituito da nuclei familiari, le cosiddette “family owned companies”, i CdA vedono al loro interno (non tenendo conto delle sovrastrutture di holding, di trusts o di incroci azionari) i rappresentanti delle famiglie, quelli delle partecipazioni o investitori di minoranza, oltre a personaggi della comunità finanziaria, scientifica o manageriale, cooptando al loro interno il possibile CEO dell’azienda. E qui possiamo vedere strutture di Board analoghe tra società quali Menarini, Zambon, Angelini, Dompé, Italfarmaco, AlfaSigma. E’ più semplice nelle piccole/medie aziende o nelle start-up o nelle imprese costituite da Manager/Fondi in cui gli azionisti o manager hanno un Board meno complicato ed in presa diretta sull’operatività e dunque sulla struttura.
Nel nostro territorio, operano d’altra parte le Filiali o Subsidiaries di multinazionali. In questo caso, indipendentemente dalle strutture Corporate, con le implicazioni organizzative se si tratta di società quotate, il Board è formato dai rappresentanti nominati dall’azionista multinazionale con incroci tra personaggi di Corporate, di altre subsidiaries fuori dall’Italia o da Advisors legali o fiscali.
Dunque, definita la struttura del CdA, si passa all’organizzazione delle società operative.
E’ il Comitato Esecutivo che sovraintende ed è responsabile delle operazioni societarie. E’ coordinato da un Ceo o General Manager o Country Lead e ne fanno parte di Direttori delle varie aree sia Commerciali che Scientifiche/mediche che Manufatturiere, oltre a quelle centrali di supporto. Qui dobbiamo distinguere tra le strutture operative ma di livello Corporate di Società italiane internazionali (che a loro volta coordinano Filiali in Paesi Esteri), e quelle di Filiali di società estere operanti in Italia.
Premettiamo che, per ragioni di sintesi, mostriamo degli esempi in cui la complessità organizzativa non può essere fotografata. Le variabili strutturali e funzionali in ogni azienda sono peculiari e diverse, anche se sono presenti le linee generali formate da strutture divisionali, BU/Franchises, matricali, olistiche, virtuali, etc.
Per quanto attiene alle Filiali di multinazionali, è opportuno effettuare una distinzione basilare:
• Quella di multinazionali a “struttura centralizzata”, con organizzazioni fortemente operative in Filiali ma forti in Corporate, con focus terapeutici e geografici. Sono individuabili in filiali, ad esempio, di Pfizer, Novartis, Roche, Celgene, MSD, Amgen, etc.
• Cui si contrappongono Filiali di multinazionali con organizzazione “decentralizzata”, quali Baush Health (Valeant) o Allergan (Actavis), connotati da lean organization ed ampia autonomia nel proprio territorio di azione.
In particolare, per quanto riguarda le subsidiaries di multinazionali a struttura centralizzata, vi sono organizzazioni che variano tra di loro ma che hanno elementi in comune. Va osservato però come alcune – quali Pfizer e Sanofi – siano organizzate nelle filiali in business indipendenti tra di loro, che riportano ad una organizzazione internazionale, e in cui ciascuna di esse esprime un General Manager, che riporta al proprio Corporate. Il Managing Director della Filiale o Country Lead ha la rappresentanza e coordinamento manageriale. In più è anche General Manager di un business. Coordina spesso delle funzioni che crossano il mercato, quali il Market Access o funzioni di supporto ai vari business.
Source: Frezza&Partners
Le aree R&D, cliniche e scientifiche normalmente riportano alle corrispondenti funzioni internazionali (anche se la funzione Medical Affairs può riportare a BU/Franchises).
In questa organizzazione le funzioni di supporto e coordinamento (HR, Legal, Finance, etc.) non riportano al Managing Director ma direttamente alla funzione internazionale di riferimento così come gli Shared Services.
In sostanza, la struttura organizzativa di queste Filiali è ad elevata matrice, in cui le sole attività di business/ mercato sono governate dal Paese mentre tutto il resto è a matrice su internazionale e corporate.
E’ come se l’Italia fosse una regione commerciale, governata dall’esterno, attraverso un complessità strutturale e manageriale.
Altre subsidiaries di multinazionali – come le statunitensi Amgen, Celgene o Gilead oppure europee come Ipsen, Boehringer Ingelheim o giapponesi come Takeda o Daiichi Sankyo – governano invece direttamente le proprie BU o Franchise, per cui il Managing Director è pianamente responsabile del P&L, anche se le funzioni di supporto quali HR, Finance, Legal e quelle scientifiche sono spesso a diretto riporto dell’internazionale.
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Le società internazionali italiane hanno naturalmente, ad emanazione del Board degli azionisti, una struttura Corporate per governare business e Paesi. Qui la struttura matriciale è più blanda. Vi è una forte autonomia organizzativa, con coordinamento dal centro di buon senso e senza preziosismi matriciali. E’ forte la presenza culturale dell’azionista, anche nella complessità dell’internazionalizzazione.
Le aziende medio/piccole o le start up scientifiche e manageriali possiedono organizzazioni funzionali, con approccio strutturale semplificato aldilà delle enormi competenze richieste dalle strutture.
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Quali le conseguenze per ruoli e contenuti professionali, se si appartiene ad una struttura multinazionale, internazionale o domestica? Oppure a società quotata nei confronti di Azienda Controllata da Azionariato familiare?
In verità, nella scelta sia di un’impresa verso un manager dall’esterno, sia di un manager verso una nuova azienda, pesa il possesso di valori culturali e strutturali, se coerenti o meno con il vissuto organizzativo di riferimento in cui si deve inserire.
Infine, è opportuno tornare ai fondamentali sui quali si basa ogni organizzazione nel farma, come ben argomenta A.D. Chandler Jr., uno dei maggiori studiosi di organizzazioni.
In “Shaping the Industrial Century”, in cui esamina l’evoluzione storica e strutturale sia del comparto elettronico che di quello chimico-farmaceutico, specifica appunto “nelle economie di mercato, i punti di forza competitivi delle imprese industriali risiedono nella capacità organizzative apprese”, tenuto conto che dette capacità sono relative al prodotto (R&S e manifatturiero) per le tecnologie usate ed ai mercati per la commercializzazione, acquisite e fatte proprie dal contesto organizzativo.
A sua volta, apprendimento e competenze organizzative si possono basare su differenti tipologie di conoscenza: quella tecnica, quella funzionale ed infine quella manageriale.
Le conoscenze tecniche sul prodotto sono nell’industria farmaceutica quelle della ricerca di base (Discovery e parte del Development), apprese partendo sia dalle attuali sia dalle nuove conoscenze scientifiche fino alla creazione di nuove tecnologie dalle quali derivano prodotti da sviluppare e da immettere nel mercato.
Le capacità “funzionali”, derivanti dalla conoscenza scientifica e tecnologica, riguardano lo sviluppo
del prodotto (Development), la produzione (Manufacturing), le caratteristiche del mercato e dei consumatori (Marketing & Sales & Distribution). Ma non solo. Oggi fondamentali risultano competenze tecnico-informatiche e digitali per sviluppare, gestire, monitorare enormi moli di dati (Big Data, Digital Technologies).
Alle competenze tecniche vanno aggiunte quelle manageriali, per completare il quadro della conoscenza organizzativa che rende competitiva l’impresa del farmaco. Si tratta della qualificazione e del grado di “governance” e di esperienze strategiche ed operative, acquisite e presenti in azienda nei vari gradi di management.
Queste capacità organizzative non possono essere uguali per tutto il settore nei vari mercati, nelle varie regioni o a livello globale. E le differenziazioni sulle competenze organizzative possono riguardare l’intero processo dal prodotto allo sviluppo, ed alla commercializzazione oppure singole parti e differire da nazione a nazione o tra aziende europee, o giapponesi o statunitensi.
Ora sia le qualificazioni organizzative, che contengono conoscenze scientifico-tecnologiche, funzionali di sviluppo del prodotto, manifatturiere o commerciali, nonché manageriali, sia le dimensioni dei mercati e le differenze domestiche e regionali, ci forniscono un contesto oggettivamente credibile per ragionare intorno alle caratteristiche organizzative dell’industria del farmaco presente in Italia. [/member]