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di Leonardo Frezza
Organizzazioni che cambiano
I rapidi accenni su questo macrosettore, in chiave occupazionale e professionale, ci introducono sulle organizzazioni delle aziende farmaceutiche, biotech, medical devices e dell’indotto a monte ed a valle.
Ora, queste aziende stanno vivendo una fase di transizione reale verso ulteriori formule strutturali, verso la revisione di ruoli, l’obsolescenza di alcuni e la nascita di nuovi.
Le cause? Fatturati che diminuiscono con la scadenza di brevetti difficili da rimpiazzare per gli scarsi risultati della ricerca. Da cui nasce la necessità di adeguamento dei costi e delle strutture per mantenere la redditività richiesta. Non solo, il contesto competitivo è cambiato e continuerà ad evolversi sia internamente al settore che esternamente. Qualche azienda si fonderà, altre saranno acquisite, qualcuna scomparirà, qualche altra muterà completamente pelle e dimensione, mentre la biofarmaceutica camminerà in maniera spedita, con prodotti specialistici da privilegiare rispetto a quelli di primary care. E la competizione dei generici darà battaglia.
[member] Sono solo accenni per cui organizzazioni e risorse vanno riviste o rivoluzionate e comunque proiettate su modelli di conoscenza, di capitale intellettuale, di formule organizzative, di R&S, manifatturiere, commerciali, manageriali, tali da poter far vincere le sfide già presenti. Molti sembrano non accorgersi, ancorati come sono ai bei tempi andati, allorché il settore produceva calma strategica e normale operatività in un contesto di business riconoscibile e consolidato.
Alcune aziende, specie a livello multinazionale, si sono mosse abbastanza pesantemente, anche tenuto conto della redditività da perseguire e dell’occhio sempre rivolto agli analisti di borsa. In effetti la previsione di crescita “from double to single digit”, la pressione sui prezzi, il sempre maggior peso degli stakeholders, il basso livello di output R&S, l’avanzata dei generici, le geografie che cambiano con la crescita di mercati emergenti ed asiatici e le mutate dinamiche di crescita nei mercati maturi, tutto ciò crea la necessità di nuovi business models. E conseguentemente strutture, organizzazioni, ruoli e tipologia di management cambiano.
Quella della ristrutturazione attraverso la revisione dei livelli organizzativi, proviene probabilmente da esperienze principalmente in General Electric e da società di consulenza come Boston Consulting Group. Per livelli, noi indichiamo la gerarchia della relazione dei riporti. Ed i livelli indicano anche i gradi di remunerazione. E la misura riguarda il numero dei riporti diretti. Se un’azienda non possiede una razionale impostazione nei livelli rischia inefficienze gravi di costi e di capacità decisionale. D’altronde l’abbattimento dei livelli nelle strutture rende più veloce l’informazione e la capacità decisionale. Non dimentichiamo che l’informatizzazione dei processi e la estensione e rapidità del flusso informativo via internet ed intranet rende questionabile una gerarchia organizzativa che si basava ed ancor oggi si basa su processi obsoleti. Non solo, con livelli manageriali più snelli ci si focalizza più sul lavoro che sul coordinamento e le attività che non producono valore vanno eliminate.
E’ quello che capì Jack Welch quando prese il comando di General Electric. Ereditò una organizzazione con 12 livelli ed una media di “span of control” tra i tre e quattro livelli. Nella media, ogni manager aveva solo tre o quattro riporti diretti. Welch portò i livelli da 12 a 6 e la media dello “span of control” è diventata di dieci. Quella di Welch era una strategia mirata su organizzazione e risorse umane. E’ evidente che è un processo non così semplice quello di eliminare dei livelli specie di middle management. Vi sono delle vacche sacre da abbattere e abbassare una piramide include sia razionalità che emozionalità [1].
Queste possono essere comunque definite operazioni alquanto tattiche per raggiungere efficienza organizzativa e qualificazione manageriale o verso il ridisegno di una organizzazione. Nelle Scienze della Salute, strutturalmente, in quanto settore basato sulla conoscenza, vi è una considerazione fondamentale di cui tenere conto: la capacità è costituita dalle conoscenze apprese dall’organizzazione aziendale. Ciò indipendentemente dai singoli manager o specialisti che oggi ci sono e domani possono non esserci. Ma processi e conoscenze rimangono nel contesto organizzativo per cui le persone passano ma le conoscenze rimangono nel tessuto organizzativo.
A.D. Chandler Jr, uno dei maggiori studiosi di organizzazioni, in “Shaping the Industrial Century”, in cui esamina l’evoluzione storica e strutturale sia del comparto elettronico che di quello chimico-farmaceutico, specifica appunto che “nelle economie di mercato, i punti di forza competitivi delle imprese industriali risiedono nelle capacità organizzative apprese”, tenuto conto che dette capacità sono relative al prodotto (R&S e manifatturiero) per le tecnologie usate ed ai mercati per la commercializzazione, acquisite e fatte proprie dal contesto organizzativo.
A sua volta, apprendimento e competenze organizzative si possono basare su differenti tipologie di conoscenza: quella tecnica, quella funzionale ed infine quella manageriale.
Le conoscenze tecniche sul prodotto sono nell’industria farmaceutica quelle della ricerca di base (Discovery e parte del Development), apprese partendo sia dalle attuali sia dalle nuove conoscenze scientifiche fino alla creazione di nuove tecnologie dalle quali derivano prodotti da sviluppare e da immettere nel mercato.
Le capacità “funzionali”, derivanti dalla conoscenza scientifica e tecnologica, riguardano lo sviluppo del prodotto (Development), la produzione (Manufacturing), le caratteristiche del mercato e dei consumatori (Marketing & Sales & Distribution). Ma non solo. Oggi fondamentali risultano competenze tecnico-informatiche e digitali per sviluppare, gestire, monitorare enormi moli di dati (Big Data, Digital Technologies).
Alle competenze tecniche vanno aggiunte quelle manageriali, per completare il quadro della conoscenza organizzativa che rende competitiva l’impresa del farmaco. Si tratta della qualificazione e del grado di “governance” e di esperienze strategiche e operative, acquisite e presenti in azienda nei vari gradi di management.
Queste capacità organizzative non possono essere uguali per tutto il settore nei vari mercati, nelle varie regioni o a livello globale. E le differenziazioni sulle competenze organizzative possono riguardare l’intero processo dal prodotto allo sviluppo, ed alla commercializzazione oppure singole parti e differire da nazione a nazione o tra aziende europee, o giapponesi o statunitensi.
Ora sia le qualificazioni organizzative, che contengono conoscenze scientifico-tecnologiche, funzionali di sviluppo del prodotto, manifatturiere o commerciali, nonché manageriali, sia le dimensioni dei mercati e le differenze domestiche e regionali, ci forniscono un contesto oggettivamente credibile per ragionare intorno alle caratteristiche organizzative dell’industria del farmaco presente in Italia.
Passaggi storici
I passaggi storici delle imprese farmaceutiche dalla seconda metà dell’Ottocento a tutto il Ventesimo secolo delineano il percorso di un settore industriale basato su scienza, tecnologia e mercato, ma di recente crescita. In effetti il suo sviluppo importante è avvenuto negli ultimi cinquant’anni. Ed è stato propedeutico all’attuale evoluzione che ha aperto scenari davvero innovativi, come conseguenza del paradigma biotecnologico.
Dalla nascita delle prime imprese farmaceutiche, le fasi di questo settore si possono enucleare, secondo alcuni[2], in tre macro-periodi: nel primo (1880-1950) il contesto era tipicamente nazionale a livello sia normativo sia politico. Vi era, in verità, l’export molto forte in alcuni paesi. Tuttavia il commercio internazionale era vincolato dal protezionismo, indotto dalle conosciute circostanze storiche, come la prima e la seconda guerra mondiale, la recessione degli anni Venti e il seguente periodo di depressione. In questa fase, il trasferimento tecnologico e gli accordi di licensing erano marginali. Peraltro il sistema di protezione a livello nazionale ha fatto nascere e consolidare le grandi case farmaceutiche attuali, che si basavano su ampia attività di Ricerca e Sviluppo.
Successivamente al secondo conflitto mondiale, abbiamo una seconda fase (1951-1980) in cui la liberalizzazione economica e la crescita si basano anche sul mix tra disciplina domestica ed accordi internazionali. E’ il periodo della reale nascita delle multinazionali, con le conseguenti ricadute di trasferimenti tecnologici, di licensing e di mobilità manageriale, con aziende internazionali basate però strategicamente sul proprio territorio nazionale di appartenenza.
La terza fase (1981 ad oggi) è quella del contesto competitivo più globale, del quadro normativo internazionale, della globalizzazione dei mercati finanziari, degli investimenti e delle fusioni/acquisizioni di società straniere. Tuttavia, in questo quadro, le imprese nazionali usufruiscono dei vantaggi competitivi derivanti dalla loro padronanza dei mercati specifici.
Indipendentemente dalla caratterizzazione multinazionale o domestica dei vari mercati, vi è da considerare come il numero delle aziende farmaceutiche impegnate nella produzione di specialità farmaceutiche sia molto elevato, mentre il livello dimensionale è simile nei vari paesi. In Italia come negli altri paesi, accanto ad un ristretto numero di aziende che dominano i mercati internazionali, vi sono le aziende che operano a livello domestico o in specifiche aree continentali.
Ciò significa che si presenta un livello di competizione in cui le cosiddette “Big Pharma”, e le grandi aziende continentali e regionali con grossi investimenti in Ricerca e Sviluppo, hanno forza brevettuale e di alleanze in R&S e dunque potere nel mercato, con fattori competitivi basati su innovazione e marketing. Le medie o piccole imprese, con relativa possibilità di investimenti di ricerca, con minore forza nelle politiche brevettuali, si basano invece su di un modello di competizione maggiormente focalizzato sul prezzo, sul servizio, sull’efficienza, sulla qualità e sul marketing locale. Ebbene, come è naturale, le organizzazioni e il management si sono connotate e sviluppate secondo la evoluzione delle componenti fondamentali del settore.
Si tratta dunque di un contesto in cui si collocano le qualificazioni professionali e manageriali nonché i valori delle risorse umane che hanno consolidato questa importante area scientifica e industriale di scienze della vita. Tuttavia, parlando di risorse, di scienza, di prodotti e di mercati, diviene fondamentale investigare sui contenuti organizzativi che rappresentano il sistema nervoso in controluce su cui si muove e si evolve un comparto industriale quale quello farmaceutico.
Dobbiamo in effetti rilevare come in questo settore si ritrovino fortemente accentuate le interdipendenze organizzative in ragione del contesto internazionale o multi-regionale in cui il business è inserito. Basti pensare come sia normato questo settore e come dunque gli assetti organizzativi, le funzioni, le competenze ed i ruoli ne siano condizionati. Come gli sviluppi di certe aree professionali dipendano, per esempio, dalle normative regolatorie, dall’incidenza delle decisioni istituzionali sulle politiche sanitarie, dalla sensibilità dei pazienti e dei media su ciò che è correlato alla salute. E, allorché si rifletta sui ruoli specifici che si sono formati o si stanno sviluppando nelle organizzazioni delle aziende farmaceutiche, occorre far riferimento al contesto normato esterno che spinge a soluzioni organizzative conseguenti.
Quando si ragiona, fino a pochi anni fa, intorno alla relativa calma strutturale dell’industria farmaceutica, quanto meno fino agli anni Ottanta, crediamo che si ragionasse intorno ad un effetto, una conseguenza fondamentale dinanzi alle istanze di soggetti esterni ed interagenti con l’industria del farmaco, come quelli istituzionali, regolatori. Oltretutto questi ultimi hanno comportato e comportano impostazioni organizzative e costi non presenti in altri settori industriali.
Non si vuol intendere però che il comportamento delle organizzazioni nell’industria farmaceutica sia principalmente uno stimolo-reazione nei confronti dell’esterno. Ma vi è un principio implicito di omogeneità fra le dinamiche di azione organizzativa e quelle di relazioni ambientali e dimensione culturale.
Potremmo dire che nell’industria farmaceutica la coalizione dominante sia l’insieme di chi “fa” il business e di chi lo “regola”, relegando fino ad oggi in seconda fila l’utente finale e cioè il paziente (nonostante la consapevolezza che questa “seconda fila” stia gradualmente assumendo un ruolo determinante). Tale constatazione ha impatto sul modo in cui questa coalizione dominante riesce ad influenzare le strutturazioni organizzative, i processi di apprendimento ed il modus operandi.
Se guardiamo le strutture di Ricerca e Sviluppo, Manifatturiere, Commerciali, vediamo come in effetti ci si debba muovere guardando attentamente il contesto istituzionale, normativo o regolatorio e come sia insita nei ruoli professionali la capacità di comprendere e di agire secondo tale logica. Anche le funzioni trasversali, vuoi che si tratti di informatica, di brevetti, di affari legali o risorse umane, debbono tenere conto di tale contesto. Ciò non vuol dire però che la strutturazione organizzativa delle aziende farmaceutiche sia condizionata incredibilmente dalle condizioni esterne e non riesca ad essere imprenditorialmente agile. Se ne deve tenere conto, in misura maggiore o minore a seconda dei diversi mercati.
E le complessità organizzative di livello multinazionale, la trasformazione di strutture da livello locale a regionale o continentale, la separazione tra R&S, operazioni industriali, attività commerciali (come se fossero ciascuna entità o aziende separate), senza parlare della realtà derivante dall’outsourcing, forse non riflettono anche la necessità di trovare strade per essere flessibili, efficienti dinanzi al contesto di riferimento che ha in sé notevoli rigidità normative?
La configurazione attuale del settore, e delle industrie che operano al suo interno, è il risultato di una serie di sconvolgimenti che hanno caratterizzato in particolare l’ultimo decennio. Ci riferiamo all’ondata di fusioni e acquisizioni, all’invadenza dei capitali finanziari, all’outsourcing, all’evoluzione tecnologica, alla competizione nei differenti mercati globali, al reperimento del capitale intellettuale, alle nuove generazioni professionali e manageriali.
L’evoluzione dell’industria farmaceutica sembra indicare uno spartiacque: fino all’inizio degli anni Ottanta a monte vi era una scienza aperta e disponibile ed a valle grandi aziende internazionali e quelle locali. Fino a metà degli anni Settanta infatti le aziende farmaceutiche, in particolare le grandi, erano integrate verticalmente dal Drug Discovery al Development, agli affari regolatori, alla produzione al commerciale. La ricerca era dominata dai programmi “Random Screening”. E la tecnologia a monte era in larga parte disponibile con costi marginali.
Le aziende si appropriavano dei vantaggi conseguenti attraverso un esteso sistema di brevetti, di marchi, di barriere regolatorie nonché di favorevoli condizioni di mercato. Molte di queste aziende erano da decenni sul mercato, con organizzazioni consolidate e mature. Il vantaggio competitivo era guidato dall’abilità di gestire le interazioni tra prodotto e sistema regolatorio per arrivare ai prescrittori più che ai consumatori finali. Insomma la struttura verticale delle industrie farmaceutiche appariva caratterizzata da un’impostazione duplice: a monte Ricerca e Sviluppo con molta produttività e con relativi costi di accesso alle tecnologie, basata su Random Screening. A valle un efficiente sistema organizzativo per massimizzare le opportunità di mercato[3].
Dopo il 1980 è arrivata una complessità elevata. Dopo decenni di stabilità e consolidamento, ecco la biotecnologia. La ricerca è divenuta più difficile, con una profonda competenza per comprendere la fisiologia a livello molecolare. Si opera molto attraverso il “Rational Drug Design”, con l’utilizzo di risorse tecnologiche esterne, con strategie di in-licensing o di partnership, con rapporti e scambi con le università.
Le industrie del farmaco hanno talvolta preferito investire nello studio di nuove formulazioni per principi attivi già presenti sul mercato e collaudati dal punto di vista dell’efficacia e della sicurezza per il paziente. E questo ha comportato inevitabilmente un risparmio notevole (visti i costi sostenuti lungo tutto il prcesso di R&S) e la possibilità di mantenere costante la proposta di “nuovi” prodotti sul mercato. E questo ha certamente impattato sulla scelta di voler gradualmente sperimentare nuovi assetti organizzativi.
Oggi, l’innovazione farmaceutica è in una fase di vero e proprio Rinascimento, testimoniato dalla pipeline di ricerca a Livello mondiale, che ha raggiunto il massimo storico con oltre 14mila prodotti in sviluppo, dei quali più di 7mila in fase clinica[4].
La Ricerca sta rendendo disponibili terapie sempre più precise ed efficaci. Si pensi alla capacità di tutti quei farmaci in grado di guarire malattie, di quelli che ne bloccano la progressione o di quelli che ne prevengono le complicanze. Migliorando la vita dell
Sono prospettive aperte soprattutto dalla medicina personalizzata e dai farmaci
biotech, che rappresentano il 40% della pipeline e saranno ancora più importanti in futuro, ad esempio per dare risposte alle malattie rare, per le quali costituiscono spesso l’unica possibilità di cura.
L’Italia si posiziona ai primi posti al Mondo per qualità delle pubblicazioni scientifiche in medicina, farmacologia, drug discovery e in aree nelle quali si concentra laRicerca farmaceutica internazionale, quali oncologia, cardiologia e neurologia.
Con 1,5 miliardi investiti in R&S nel 2016 (7% del totale in Italia) l’industria farmaceutica è terza tra i settori manifatturieri, dopo mezzi di trasporto e meccanica, e prima sia per quota di imprese innovative sia per rapporto tra spese per innovazione e addetti.
In questi anni, l’Italia sta conseguendo risultati importanti, per investimenti (+20% in tre anni, 250 milioni in più), per risultati e per aree specializzazione. Ad esempio le biotecnologie (alle quali le imprese del farmaco contribuiscono per circa il 90%), i vaccini, gli emoderivati, le terapie avanzate, i farmaci orfani e
la medicina di genere, sempre più in partnership con le strutture pubbliche.
Strutture nelle quali ogni anno le aziende farmaceutiche investono 700 milioni
in studi clinici, rendendo disponibili terapie innovative per i pazienti, offrendo
possibilità di crescita professionale a medici e ricercatori e assicurando al SSN importanti risorse, perché le imprese si fanno carico di tutte le spese connesse agli studi, quali ospedalizzazione, farmaci ed esami diagnostici.
Quanto pesa essere un settore “normato”?
Appare convincente la lettura secondo cui la crisi di produttività della ricerca, l’entrata in scena come protagonista del biotecnologico, le complessità del mercato e le politiche governative di contenimento della spesa farmaceutica forniscono la spiegazione del cambiamento organizzativo e manageriale che sta avvenendo nell’industria farmaceutica.
Vi è da mettere sul tavolo un fattore ulteriore, che ha effetti importanti sul contesto organizzativo e professionale: l’elevato tasso di formalizzazione delle attività che configura l’industria del farmaco come settore normato. La natura del mercato non perfettamente concorrenziale, in cui lo Stato ha per lunghi anni rappresentato il principale acquirente, ha infatti creato nelle organizzazioni una minore sensibilità verso i fenomeni di congiuntura economica. Ciò significa che per delineare l’evoluzione organizzativa del comparto farmaceutico italiano, è necessario considerare come fondamentali anche le variabili di tipo istituzionale legate a contingenze di tipo politico e normativo.
Vogliamo cioè significare che nell’industria farmaceutica vi è il collegamento fra dinamiche organizzative e sovrastrutture di riferimento. Non è presente una rigida distinzione tra organizzazione ed ambiente esterno, ma vi è una focalizzazione sull’interscambio con l’ambiente normato ed in particolare la considerazione di tale connessione come fattore importante dei processi organizzativi.
Sulla base del quadro delineato, vediamo allora come le dinamiche e le evoluzioni che interessano il settore farmaceutico si inseriscono in un macro-contesto di riferimento che non è solo mercato, internazionalizzazione, tecnologia, ma valori, risorse, management ed una cornice socio-politica con ripercussioni su dimensioni propriamente organizzative. Ciò consente di collocare peraltro queste considerazioni in una prospettiva temporale evidenziando lo sviluppo delle funzioni organizzative principali.
Ogni Paese esprime inoltre peculiarità proprie di contesto culturale, produttivo, competitivo, manageriale. Queste peculiarità convivono con l’internazionalizzazione o la regionalizzazione delle aziende nel mercato che certamente non può più essere considerato domestico. Anche perché le dinamiche strutturali dell’industria farmaceutica sono ormai transnazionali, non solo nel Drug Discovery o nei processi produttivi, ma oggi anche nei fattori che condizionano i mercati. Basti pensare alla linea concettuale comune nei vari paesi sul contenimento della spesa farmaceutica.
Peraltro, il nostro è un Paese in cui un settore, quale quello farmaceutico, è a bassa vitalità nei confronti dei mercati finanziari. Allo stato attuale vi sono in Italia solo poche imprese quotate. Ciò evidenzia una scarsa mobilità di capitali, la difficoltà a ricercare opportunità di investimento nel settore o in aree anche non correlate. La conseguenza, dal punto di vista manageriale ed organizzativo, è uno scarso background di competenze a livello strategico e direttivo di tipo finanziario, al contrario di come può verificarsi in altri paesi europei per non parlare degli Stati Uniti.
In Italia abbiamo aziende a capitale italiano e aziende a capitale straniero, imprese quotate e imprese controllate da capitale privato, con controllo sia di capitale sia manageriale da parte di singoli o famiglie.
Nel nostro Paese sono presenti comunque, seppure con diversi gradi di importanza, tutte le componenti tecnico-scientifiche, produttive e commerciali dell’industria del farmaco. Talune integrate organizzativamente nella medesima azienda (e ciò riguarda le aziende italiane con respiro internazionale), talune solo con funzioni o di Ricerca e Sviluppo o di manifatturiero o di commerciale.
Fonte: IGEAHub, marzo 2018. I dati della classifica si riferiscono a 7 parametri presi in considerazione, tra i quali revenue, crescita, investimenti in R&S
[1] Ron Nicol, Perspectives, Boston Consulting Group. “Shaping Up: The delayered Look”
[2] B. Achilladelis, N. Antonakis, “The dynamics of Technological Innovation: The Case of Pharmaceutical Industry”, Research Policy, 30, 2001, pp. 535-588.
[3] I.M. Cockburn, “The changing Structure of the Pharmaceutical Industry”., Health Affairs, vol. 23, n.1, pp.10-22.
[4] Dati Farmindustria, 2017 [/member]