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Carriere. Capitolo II – Ricerca, Sviluppo e Proprietà Intellettuale

Photo by Beatriz Pérez Moya

 

Proprietà intellettuale

Non si può tralasciare la tematica della protezione brevettuale, davvero critica nel sistema R&S.
Dinanzi alla osservazione per cui la protezione della proprietà intellettuale – brevetti e copyright – ha giocato un ruolo determinante nella crescita delle economie, va anche detto che oggi un numero crescente di scienziati, manager e legali si occupa delle profonde problematiche e dei consistenti interessi che si muovono dietro le normative della brevettabilità dei farmaci.
Non si tratta solo per l’azienda di essere in possesso delle competenze procedurali e burocratiche sul deposito brevettuale, ma di effettuare la monitorizzazione sui depositi che avvengono nei vari paesi in aree terapeutiche di interesse per la specifica azienda. E non solo: si tratta di valutare gli studi e le pubblicazioni, in modo da fornire ai piani di ricerca aziendali gli eventuali avanzamenti da parte di altri centri e alla direzione strategica aziendale la possibilità di valutare se proseguire o meno in taluni filoni di ricerca, dove altri hanno già depositato brevetti interessanti. [member]
Va spiegato che la generalità degli altri settori industriali, prima di immettere un nuovo prodotto sul mercato, non ha la necessità di svolgere sperimentazioni tanto lunghe o costose quanto quelle cui è sottoposto per legge il settore farmaceutico e non deve ricevere l’autorizzazione all’immissione in commercio da parte dell’autorità pubblica. Quindi per la generalità degli altri settori la durata della copertura brevettuale è di vent’anni dalla domanda di brevetto. Lo sancisce la Convenzione di Monaco e questo termine è ritenuto sufficiente a recuperare gli investimenti in ricerca.
Nel settore farmaceutico invece i tempi necessari per portare l’invenzione sul mercato sono progressivamente aumentati a causa delle normative regolatrici sempre più stringenti e tese a un sempre maggior grado di efficacia e di innocuità del farmaco. Dalla data di presentazione della domanda di brevetto al rilascio del decreto di autorizzazione alla commercializzazione decorrono nella Unione Europea in media undici anni.

Fonte: Epfia, 2018

Poiché il brevetto dura vent’anni dal deposito della domanda, oltre metà della sua vita se ne va con lo sviluppo preclinico e clinico e con le normative amministrative e regolatrici. Peraltro gli investimenti in ricerca necessitano di risorse finanziarie ingenti.
Il recupero in tempi molto brevi di costi crescenti di ricerca impatta sul problema dei prezzi. Infatti, senza una estensione del periodo di copertura brevettuale non si riuscirebbe a recuperare i costi e a finanziare le ulteriori ricerche.
La problematica brevettuale è davvero importante sia per il suo contenuto strategico sia per il suo impatto operativo. E le ragioni sono ovvie poiché la protezione brevettuale incide sui risultati delle singole imprese e sull’andamento del settore nel Paese di riferimento.
Per quanto riguarda l’Italia, vale la pena accennare al fatto che fino al 1978 l’innovazione farmaceutica italiana mancava ancora della protezione brevettuale.
Da una parte, tale assenza aveva scoraggiato l’attività di ricerca delle imprese che, non potendo fruire della tutela concessa all’appropriabilità dell’innovazione, non erano incentivate a sviluppare lunghi e costosi programmi di R&S. Dall’altra, però, proprio la mancanza di protezione brevettuale aveva consentito alle medie imprese di sviluppare una ricerca prevalentemente imitativa e riproduttiva di farmaci brevettati all’estero, favorendone così l’espansione nel mercato interno.
Per questo motivo, mentre le grandi imprese, allora riunite nell’associazione di categoria Assofarma, erano sostanzialmente favorevoli all’introduzione del brevetto, quelle piccole e medie, confluenti nella Farmunione, si mostravano, anche se con sfumature diverse, prevalentemente contrarie .
Alla fine, prevalsero i pareri favorevoli e, nella convinzione che l’introduzione del brevetto avrebbe incentivato gli investimenti in ricerca, garantendo a tutte le imprese – grandi e piccole, italiane e straniere – uguali condizioni di appropriabilità della conoscenza, il 20 marzo 1978 la Corte Costituzionale sancì la brevettabilità dei farmaci nel nostro Paese.
Tra l’altro, nello stesso anno, venuta meno la diversità di interessi e di vedute sulle patenti di brevetto, e nella necessità di una maggiore forza rappresentativa e contrattuale, Assofarma e Farmunione si fusero nella Farmindustria.
Attualmente, essendo stata comunque tardiva rispetto agli altri Paesi l’introduzione del brevetto farmaceutico, le imprese nazionali mostrano una certa difficoltà a recuperare il ritardo accumulato nel campo della ricerca farmacologica, in rapporto alle imprese appartenenti ai grandi gruppi internazionali. Le difficoltà provengono essenzialmente dalla questione relativa ai tempi di sfruttamento del brevetto.

 

Per arrivare al vertice in R&S

Il rapido sguardo sui centri di Ricerca e Sviluppo presenti in Italia ci offre una rappresentazione in cui le competenze nei vari settori sia della ricerca di base sia in quella applicata nonché nello sviluppo si accompagnano a quella che possiamo definire una relatività di iniziative, comparate all’ampiezza del nostro mercato ed alla strutturazione di Ricerca e Sviluppo di livello internazionale.
Al centro del nostro ragionamento vi è comunque la professionalità del ricercatore che, nell’industria privata, è impostato su ruoli in un sistema organizzativo che vincola la R&S agli obiettivi societari. Le caratteristiche del ricercatore dipendono comunque dal contesto ambientale e scientifico in cui è inserito e dalle caratteristiche della ricerca medesima, a seconda che si tratti di discovery o ricerca preclinica o clinica.
Ove poi volessimo parlare di differenziazioni tra pubblico o istituzioni di ricerca e aziende industriali, i contenuti professionali e di carriera risultano fondamentalmente differenti.
Nelle imprese il coordinamento organizzativo della ricerca e le sue interrelazioni con gli altri settori aziendali, dal marketing alla produzione, presuppongono una specifica strutturazione dell’attività all’interno in cui operano i ricercatori. Vi sono a questo punto, ovviamente, delle graduazioni di carriera dall’inserimento fino ai vertici aziendali.
Se parliamo della ricerca di base e di parte della preclinica, normalmente in azienda si entra come laureato in training per poi passare ad assistente ricercatore e successivamente a ricercatore junior. Qui può iniziare la carriera cosiddetta dual ladder e cioè di chi fa carriera puramente nella ricerca diventando ricercatore e poi scientist e infine ricercatore associato con il massimo della carriera o chi, con caratteristiche di coordinamento, da ricercato junior può divenire capo laboratorio, capo laboratorio senior e poi direttore di dipartimento.
Se vogliamo forzare l’organizzazione tradizionale della ricerca e dei centri di ricerca verso quelle che sono forme strutturali avanzate e comunque in linea con l’evoluzione delle organizzazioni di ricerca private attualmente in Italia, vediamo che le risorse costituite dai ricercatori si debbono basare su una visione globale dell’area scientifica in cui l’azienda vuole ottimizzare la propria organizzazione di R&S. Ciò significa la capacità di attrarre e reclutare risorse a livelli di eccellenza; attuare un apolitica di formazione continua sia scientifica che manageriale; fornire un sistema di sviluppo di carriera; creare un sistema di incentivazione; basarsi su un sistema di management performance.
Questi sistemi vanno inseriti in una metodologia manageriale che si accompagna allo sviluppo del processo e alla tecnologia. Quello che ci è sembrato scorgere, a livello di contenuti, è che le organizzazioni di Ricerca e Sviluppo si sono orientate verso il raggiungimento di obiettivi di flessibilità organizzativa riduzione dei tempi, orientamento al cliente interno all’organizzazione. Per cui da una parte la struttura si intende piatta, operante attraverso il project management e la qualità totale, e dall’altra parte i comportamenti sono basati sempre sul project management, il team work, la comunicazione e la leadership.
E’ fondamentale parlare di management strategico in R&S poiché, più che ogni altra funzione aziendale, la Ricerca e Sviluppo gestisce simultaneamente i rapporti sia interni che esterni. Internamente la funzione R&S affronta compiti sempre più ampi di coordinamento e di controllo sul network della propria organizzazione e laboratori sia nazionali che internazionali. E i processi di pianificazione e di budget forniscono quello scambio sistematico di informazioni e forniscono quegli aspetti cruciali per implementare la capacità innovativa aziendale. Esternamente, la funzione R&S è chiamata a creare sempre di più la cooperazione tecnologica con le università, con i consorzi di ricerca e anche con i competitori per le ragioni riportate precedentemente, in un mercato in cui le tecnologie diventano fondamentali e nel quale comunque un’azienda, pur grande che sia, non può avere la capacità di essere autonoma nel settore della ricerca.
Comunque la crescente globalizzazione della R&S va affrontata da parte del management tenendo conto della diminuzione della spesa nella ricerca di base, spesa che si concentra invece sullo sviluppo e sulle tecnologie. Una recente indagine ha dimostrato che la decentralizzazione della ricerca di base verso lo sviluppo e le tecnologie è attuata dal 60% delle aziende americane e dal 40% di quelle europee.
Le difficoltà nella ricerca di base sembrano d’altronde venire da lontano e cioè dalle diminuite capacità di finanziamento delle università. Quello che possiamo dire è che nonostante il downsizing e la ristrutturazione delle aree aziendali di Ricerca e Sviluppo, la funzione rimane altamente strategica all’interno della compagnia. E’ fondata infatti sulla capacità dell’azienda di individuare le vie per acquisire o per scoprire o per sviluppare i prodotti e allo stesso tempo per gestire una complessità tecnologica in continuo aumento nonché per cooperare con partner esterni, fornitori o università e competitori.
Se possiamo formulare quelle che possono essere identificate come le fondamentali linee della funzione R&S dobbiamo indicare innanzi tutto che il suo ruolo principale è quello di rendere compatibile la tecnologia con al strategia di business. Chiaramente il vertice dell’azienda sviluppa una visione del futuro dell’azienda e in questo caso R&S deve far sì che le priorità di business siano supportate dai programmi di ricerca.
Altro ruolo fondamentale è quello di fornire all’azienda la competenza, il know how e la motivazione delle risorse nei campi specifici di ricerca. Questo argomento riguarda essenzialmente la gestione dei ricercatori e la loro motivazione.
Il livello manageriale di R&S presume inoltre che, accanto alla visione strategica e alla qualità delle risorse utilizzabili, vi sia anche la capacità di adottare tutte le metodologie di pianificazione, di budgeting e di comunicazione in modo tale da permettere la gestione dei progetti aziendali.
Altra qualificazione che si richiede è quella di poter essere il focus per la cooperazione tecnologica con il mondo esterno all’azienda e questo include competitori, università, unità di ricerca pubblica e consorzi.
Infine, nello specifico ruolo delle aziende farmaceutiche vi è un’importanza fondamentale nel gestire tutte le relazioni dell’outsoucing come parte integrante del processo di ricerca interno, secondo i costi stabiliti e verso quelli che sono gli obiettivi del time-to-market.
Quello che appare evidente nel ruolo di R&S è che questa funzione va vista come competenza sul processo centrale di innovazione dell’azienda, che a livello strategico deve avere visibilità e deve essere in linea con gli obiettivi di business, mentre deve mantenere la capacità dell’azienda e il know how per raggiungere quelli che sono gli obiettivi innovativi.
Ci troviamo di fronte a una funzione connessa sia all’interno che all’esterno dell’azienda con la comunità scientifica. Il che deve da una parte focalizzare tutte quelle che sono le opportunità di maggior conoscenza e di sviluppo dei prodotti e dall’altra tener presenti le modalità di essere impresa e cioè di razionalizzare struttura, tempi, costi per quelli che sono i risultati pianificati.
Ma nel prospettare la funzione strategica della R&S nel mondo farmaceutico in piena trasformazione, il valore aggiunto che si richiede al manager di R&S è quello di interagire flessibilmente con le conoscenze di mercato per valutare le migliori opportunità su come pervenire a un prodotto, utilizzando sia le strutture esterne sia quelle interne.
E ciò significa la capacità di comprendere le alleanze, i consorzi, il licensing e, per quanto riguarda le attività specifiche dei propri laboratori, comprendere la convenienza o meno di acquisire dall’esterno parte del progetto di ricerca o di sviluppo, secondo criteri di produttività e di efficienza della R&S medesima.
Chi conduce le attività di R&S con responsabilità globali aziendali (il cosiddetto CSO – Chief Scientific Officer) ha nelle proprie responsabilità la collaborazione alle definizioni strategiche globali aziendali, mettendo a disposizione le capacità possibili di know how e di prodotto. Ne ricerca i finanziamenti sia all’interno che all’esterno dell’azienda. Agisce in termini di produttività. Mantiene e aumenta il valore sia scientifico che tecnologico dell’azienda. Ma specialmente opera in un criterio di flessibilità tra risorse interne ed esterne, accordi o alleanze, per rendere forte la competenza di R&S aziendalmente. [/member]