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Carriere. Capitolo II – R&S del farmaco (parte 1)

Photo by Amy Reed

 

Il fascino della ricerca

Il fascino della ricerca, ovvero la scienza attraverso gli occhi di un giovane ricercatore, ha un sapore di metodologia costante e l’obiettivo di distribuzione di conoscenza rispetto all’approccio manageriale che persegue un fine specifico ed un risultato economico. Probabilmente sono due aspetti dissimili che convivono nelle persone e nelle organizzazioni di ricerca e sviluppo. Non solo, si tratta anche della differenza tra ricerca pubblica, per la quale a volte la distribuzione di conoscenza è un bene antieconomico, e ricerca privata tesa invece a risultati specifici.

Nella estensione di questi criteri si possono individuare anche le differenti forme organizzative e la peculiarità dei ruoli di R&S. Ed è quello che cerchiamo di affrontare in questo capitolo. Vale a dire gli aspetti della ricerca e sviluppo dal punto di vista delle organizzazioni e dei ruoli.

In effetti, il ricercatore che posiziona, ad esempio, cellule in un campo visivo, trova affascinante lavorare sull’architettura magnifica delle cellule stesse. “Mi trovai a guardare un aggregato di cellule embrionali … sembravano bolle nella saliva, o uova di medusa … rappresentavano letteralmente un fenomeno di proto-vita, un tumulto di potenziale biologico da uno sfondo di plastica e sostanza nutritive … Non faceva che aumentare la mia sensazione di guardare un equivalente microscopico di Chartres, un’imponente cattedrale di cellule, meravigliosa non solo per la sua grandezza fisica in sé, ma per l’organizzazione delle infinite opere che il potere biologico aveva di realizzare [1].”

Ma come far carriera nelle strutture di Ricerca e Sviluppo di aziende farmaceutiche, biotecnologiche o di dispositivi medicali? O meglio, quali sono i requisiti di ingresso, le specializzazioni e poi le opportunità di carriera?

[member] A meno che non si tratti del ruolo di tecnico di laboratorio, per cui può essere sufficiente anche il diploma di scuola superiore, la laurea è necessaria o in medicina e in bioingegneria o in scienze biologiche o in chimica o in CTF o in farmacia e comunque in materie scientifiche. Non solo, questo oggi sembra essere un requisito di base, che spesso non è sufficiente, poiché sono più premianti le qualificazioni post-universitarie quali il dottorato di ricerca o comunque esperienze di “post-doctoral research fellow”.

Immaginiamo, ad esempio, un laureato in chimica e tecnologia farmaceutiche presso l’Università di Milano, che consegue successivamente alla laurea il Dottorato o PHD (Philosophiae Honoris Doctor) in endocrinologia presso il dipartimento di Endocrinologia della stessa Università (normalmente circa quattro anni di specializzazione). Decide, dopo il dottorato, di specializzarsi ulteriormente con periodi in Università o centri di ricerca sia negli Stati Uniti che in Europa (tali periodi come “Post-Doctoral Research Fellow” hanno una durata da uno a due anni ciascuno in dipendenza dei progetti). Da qui passa in industria farmaceutica o biotecnologica. In questo caso, date le sue specializzazioni in endocrinologia, sceglierà preferibilmente una azienda con ricerca in questa area e diverrà, in base alle qualificazioni assunte, “Senior Principal Investigator” su piattaforme tecnologiche di ricerca genetica. E la sua carriera proseguirà come Group Leader, ad esempio su progetti di ingegnerizzazione proteica per medicinali oncologici. Questo tipo di specializzazioni in Drug Discovery gli daranno certamente la possibilità di prendere posizioni o di Senior Scientist o, iniziando la carriera manageriale, di Group Leader nel campo delle malattie genetiche per altre aziende, sia in Europa che negli stati Uniti.

Oppure una laureata in Scienze Biologiche, che ottiene il PhD in Farmacologia, trascorre un periodo di “Post-Doctoral research fellow” e poi di Visiting Scientist tra Europa e Stati Uniti e successivamente si inserisce all’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri come Senior Research Scientist verso un successivo ruolo di Capo Unità nell’ambito del Dipartimento di Ricerca Cardiovascolare. Il medesimo tipo di percorso di altri ricercatori che oggi operano, ad esempio, nell’Unità di Immuno-bioterapia dei tumori solidi in un Istituto di Ricerca oppure in azienda biotecnologica italiana o statunitense o tedesca.

Il profilo di chi successivamente diviene manager o direttore o come Capo della Ricerca Chimica o dello Sviluppo Preclinico di area terapeutica quale Oncologia, immunologia, virologia o cardiovascolare, si basa quasi sempre su di un percorso di studi e di ricercatore come quelli sopra descritti. E’ evidente che il passaggio da “scientist” a “manager” nella ricerca porta a competenze e problematiche di coordinamento nonché di risultati davvero differenti.

Tuttavia, chi desidera entrare nel mondo della “Discovery” deve normalmente possedere qualificazioni eccellenti di studio con laurea, PhD o specializzazioni, avere dei felloship di livello internazionale, una profonda specializzazione nella propria area, buone pubblicazioni. Il che significa scienza, internazionalità, conoscenza di lingue, relazioni nella comunità dei ricercatori e capacità di inserimento in organizzazioni di ricerca aziendali.

ora a capire che cosa si muove all’interno di un centro di ricerca aziendale sia che si tratti di azienda farmaceutica che biotecnologica. E’ necessario premettere che la ricerca biotecnologica è dedicata a rimpiazzare proteine naturali di uso terapeutico con proteine ottenute da cellule geneticamente manipolate, per cui vi è la corsa in ricerca verso le nuove tecnologie dall’universo chimico a quello delle proteine o ad un equilibrio tra le due.  Avremo un’organizzazione (sia interna che di networking o in outsourcing) che può essere gestita globalmente attraverso vari teams di Medicinal Chemistry e di Tecnologie, come quelle combinatoriali, computazionali, strutturali ed analitiche nonché di NMR screening. Proseguendo incontriamo lo Sviluppo Preclinico farmacologia, farmacocinetica, tossicologia (anche se molte di queste attività aggi sono in outsourcing presso le cosiddette CRO – Contract Research Organizations).

Quali i ruoli che si muovono in queste organizzazioni?

Alla base vi è il Tecnico di Laboratorio che svolge attività routinaria, seguendo pratiche e procedure standard e possiede o un diploma tecnico o laurea breve in tecnica di laboratorio. Poi vi è il Ricercatore Junior che, all’interno del gruppo di ricerca, effettua attività routinarie a differente grado di complessità e già fornisce dati per pubblicazioni. Ha buona conoscenza dei processi ed è un laureato in discipline scientifiche. Il Ricercatore Senior è indipendente nel portare avanti i suoi progetti, certamente in un contesto formalizzato. Può coordinare un gruppo di ricercatori. Si sale nella scala gerarchica e si arriva al Direttore di Ricerca che dirige uno o più gruppi con la responsabilità di progetti e dunque della loro pianificazione ed organizzazione, in un determinato assetto strategico ed operativo. E’ responsabile della performance dell’intero gruppo di ricerca ed ha esposizione sull’esterno sia presso la comunità scientifica che quella manageriale.

Sembra complicato, ma la struttura del team di ricerca appare lineare, con i suoi tecnici di laboratorio, i suoi ricercatori ed i propri coordinatori. Accanto a questi ruoli vi sono diversi altri che operano in connessione o trasversalmente. Parliamo del chimico computazionale, di quello analitico, di quello farmaceutico oppure del biologo o del biotecnologo.

Questa breve, semplicistica e non esaustiva descrizione, ha l’obiettivo di fornire delle chiavi di lettura per chi vuol entrare in questo mondo della ricerca in cui, ripetiamo, gli elementi importanti sono la qualificazione di base attraverso titoli di studio, la capacità di crescere all’interno di una comunità scientifica sia pubblica che privata, a livello domestico ed internazionale.

E’ difficile per un neo-laureato o per chi ha conseguito un PhD? Non crediamo, ma la difficoltà è di avere opportunità in quanto la ricerca in Italia presenta scarse occasioni. E molte nostre risorse preferiscono e sono costrette a realizzare percorsi di carriera all’estero.

Tuttavia, nonostante le difficoltà presenti nel nostro sistema, la professione del ricercatore è davvero attrattiva. Vi sono dei concetti insiti come il valore della scienza e della conoscenza che si accompagnano con quello dell’indipendenza del ricercatore. A questo proposito il ricercatore prima che all’azienda sente di appartenere alla comunità scientifica. Ne discende un atteggiamento di indipendenza che deve fare i conti con la complessità dell’organizzazione in azienda.

Le direzioni aziendali devono tenere conto di concetti come libertà individuale, originalità ed individualismo, flessibilità, leadership. Se si osservano le politiche aziendali sui gruppi di ricerca, notiamo come vi siano sia organizzazioni rigide e formali che quelle che danno spazio alla creatività. Chi ha ragione? La risposta è nella valutazione delle singole aziende e dei singoli gruppi di ricercatori.

E’ comunque certo che oggi stiamo assistendo allo spacchettamento delle organizzazioni verticali di ricerca, a gruppi snelli, al dimensionamento dei siti di ricerca ed ad utilizzo di outsourcing attraverso CRO o ad accordi ed alleanze su progetti, mentre la ricerca nelle aziende biotecnologiche, siano start-up che consolidate, tende ad essere agile e flessibile.

In questo periodo, la tensione verso dei risultati da parte della R&S sta portando alla sperimentazione di varie strade organizzative e motivazionali, mentre le strutture di ricerca sembrano più orientate verso la flessibilità ed il riconoscimento della creatività. La ricerca farmaceutica da una parte che appare un motore bloccato, mentre quella biotecnologica appare brillante. La tendenza delle grandi farmaceutiche alla acquisizione di società di nicchia ed alla chiusura o un dimensionamento dei propri siti di ricerca con dimensioni non sostenibili, sta fornendo una nuova prospettiva.

Ne consegue che i ricercatori devono inserirsi nelle aziende con un alto grado di flessibilità.

Il settore sta mutando pelle anche culturale, a causa delle fusioni ed acquisizioni o delle logiche strutturali, per cui è andato perso un certo tipo di valori originali dei gruppi di ricerca. Insomma stiamo assistendo ad un interessante cambiamento di modelli in R&S. Possono essere identificati due modelli di integrazione. Quello tecnologico della ricerca, tipico della società tedesca e del Nord Europa, che si basa sul valore sociale dello sviluppo e di conseguenza vede nella cooperazione il principio guida. Di qui la cooperazione tra università e industria è fondamentale, mentre la cultura scientifica e tecnologica diviene mezzo di integrazione tra i ricercatori. Ne deriva una elevata selettività dei processi di assunzione, di carriera all’interno dell’azienda e di formazione tecnico-professionale elevata nonché di crescita professionale curata da tutors.

Il secondo modello in integrazione della ricerca è quello manageriale tipico delle società statunitensi. Poggia le sue radici sull’imprenditorialità e sugli obiettivi economici. Le conseguenze di questa cultura sono la valorizzazione del successo economico-finanziario, la spinta all’iniziativa privata, la professionalità, l’efficienza organizzativa. In questo contesto la ricerca è un elemento della strategia d’impresa, a essa vincolata, se non addirittura subordinata, con le stesse regole esistenti per il marketing ed il manifatturiero e con un complesso sistema di pianificazione e controllo. Le capacità manageriali hanno prevalenza su quelle scientifiche, le regole del gioco sono conosciute anche dai ricercatori e il sistema premiante è mezzo sostanziale di integrazione tra le risorse.

E’ evidente che vi è un buon grado di contaminazione tra i due modelli, quello europeo e quello americano, anche se i risultati danno un margine di successo a quello statunitense. “Per il ricercatore in particolare, come individuo e come professionista, le distonie fondamentali sono ugualmente presenti in entrambi i modelli: il problema dell’autonomia della ricerca, del senso di appartenenza ad una categoria che prescinde dall’azienda, e del valore umano e sociale ed umanitario della scienza restano comunque irrisolti” [2].

Il modello biotecnologico in fase di start-up (che si accomuna con il modello R&S di un altro settore: quello informatico) è probabilmente il vero modello alternativo ed innovativo rispetto ai due precedenti. Infatti coniuga ricerca scientifica, rischio e capacità imprenditoriale, dove il ricercatore ed il manager si confondono.

Per chi desidera inserirsi in azienda come ricercatore deve tenere conto di questi argomenti generali e culturali, mentre deve considerare anche le probabilità del proprio sviluppo professionale. Fatta salva la distinzione poco catalogabile tra ricercatori/operatori altamente specializzati e ricercatori creativi, il neo-laureato o chi ha conseguito un PhD deve pensare che ha dinanzi a sé dieci/quindici anni con un percorso visibile. Da junior scientist o junior researcher, si passa dopo alcuni anni senior con crescenti responsabilità. Poi si diviene responsabile di dimensionati gruppi di lavoro fino ad essere responsabile di un team o project leader. Poi vi è il bivio: o mantenere un ruolo scientifico o muoversi verso un ruolo manageriale, come capo dipartimento, capo laboratorio, capo del discovery.

 

[1] Stefen S. Hall: I superfarmaci dell’immortalità, pag. 240 – Ed. Orme 2004

[2] S.Fumero: “Ricerca e sviluppo nell’industria farmaceutica e biotecnologica”, pag.191, Bollati Boringhieri, 2003. [/member]