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Carriere. Capitolo III – Produzione farmaceutica in Italia: cenni storici

Photo by Samuel Zeller

Il sistema produttivo del comparto farmaceutico in Italia è qui inteso in modo da includere sia i principi attivi farmaceutici (API, Active Pharmaceutical Ingredients), nonché i processi per realizzare il prodotto finito (Finishing) con le connesse attività di Supply, fino a considerare il Farmindotto.
Il cuore del comparto manifatturiero è rappresentato sia dagli stabilimenti che producono principi attivi sia da quelli che fabbricano il prodotto fino alla distribuzione. Ciò mentre tecnologie e processi ad elevata informatizzazione coinvolgono in egual misura l’intero arco tecnico-produttivo che è soggetto a procedure e regolamentazioni stringenti in termini di qualità e sicurezza, proprio per la natura del farmaco che incide sull’individuo e necessita dunque di essere immesso nel mercato con i più alti standard di affidamento.
[member] Storicamente, il nostro Paese ha espresso un alto livello di competenza nella filiera del manifatturiero, che è una delle aree di eccellenza del nostro sistema. Nella prima metà del ventesimo secolo avviene il passaggio dalla farmacia allo stabilimento farmaceutico. Il farmacista della seconda metà dell’Ottocento e dei primi del Novecento riceveva le prescrizioni mediche e preparava sciroppi o pillole o polveri. Da qui nascono gli imprenditori farmaceutici, con un processo “teso a trasformare la farmacia in officina, il laboratorio in stabilimento farmaceutico, l’attività artigianale in impresa industriale ”.
Per secoli la cura di malattie avveniva tramite droghe vegetali e la loro “produzione” avveniva tramite la loro polverizzazione in mortai per poi essere immesse in infusi o tisane. L’uso del miele come eccipiente consente di avere forme solide che creano la pillola. Ma nella seconda metà dell’Ottocento l’industrializzazione del farmaco si concretizza nelle attività produttive anche nelle formulazioni della compressa e della capsula. Comunque i primi laboratori ed i primi stabilimenti possiedono un assetto organizzativo semplice: accanto alla ricerca farmacologica e medico-biologica, operano il confezionamento industriale dei medicamenti, la produzione diretta dei principi attivi, attuando cicli di lavorazione chiusi .
Carl Duisberg, trentaquattrenne, il più influente manager della Bayer, nel 1895 presenta il disegno di un nuovo stabilimento a Leverkusen e presta attenzione ai sistemi più efficienti di coordinamento del flusso di materiali dal loro arrivo in stabilimento, attraverso il processo di produzione, fino all’immagazzinamento ed al trasporto del prodotto finale. In un suo memorandum definisce il progetto dello stabilimento che prevede cinque dipartimenti produttivi, un sesto composto di molte officine e uffici necessari per l’assistenza all’impianto produttivo, ed un settimo il Dipartimento per l’amministrazione centrale. Il Dipartimento I° gestisce l’immagazzinamento delle materie prime e la sala delle pompe ed è specializzato nei prodotti della chimica organica. Il Dipartimento II° tratta i prodotti organici intermedi. Il terzo fabbrica alizarina e coloranti da essa derivati. Il Dipartimento IV° si occupa dei coloranti a base di analina, mentre il Dipartimento V° dei prodotti farmaceutici. E poi gli impianti per la frantumazione, la miscelazione, le strutture di refrigerazione, la centrale elettrica, gli stabilimenti per il confezionamento ed altro costituiscono il Dipartimento VI .
Sono le fasi di decollo industriale dell’industria chimico-farmaceutica in cui l’assetto produttivo ricopre una collocazione centrale nell’impresa. E gli artefici dell’impresa farmaceutica moderna sono naturalmente gli imprenditori e non i manager. Joseph Schumpeter definisce l’imprenditore il creatore di una nuova combinazione tra produzione, marketing, fonti di approvvigionamento e organizzazione .
Nella produzione si affermano però i manager di livello intermedio che devono assicurare la tecnologia dei prodotti fabbricati e dei processi utilizzati negli stabilimenti sotto il loro controllo. Ma il decollo ed il consolidamento della conoscenza e della qualificazione in impianti produttivi di specialità medicinali avvengono gradualmente, attraverso forti conoscenze tecnologiche e di processo, che tengono conto dell’intero assetto manifatturiero comprensivo della impiantistica. Fino al secondo dopoguerra ed agli anni Sessanta dello scorso secolo.
Teniamo conto che nel 1961 le imprese farmaceutiche e concessionarie di specialità per uso umano e veterinario sono 1.060, di cui 750 con officina farmaceutica propria, con circa 40.000 addetti. Ma sono solo quattro le società con più di 1.000 dipendenti, sei tra i mille ed i 500, ben Novecento con non più di 10 dipendenti .
Ciò che è curioso riguarda la quantità prodotta: l’industria farmaceutica italiana è ai primi posti a livello mondiale dopo le aziende statunitensi, tedesche, svizzere, scandinave. I processi di fabbricazione sono di standard elevati e competitivi con le maggiori nazioni, anche se la ricerca è ad un livello basso e siamo nel campo imitativo, considerato che non vi è nel nostro Paese protezione brevettuale sia di prodotto sia di procedimento.
“Oggi nelle grandi fabbriche nazionali di prodotti farmaceutici ci si muove in un ambiente da fantascienza: lunghe teorie di autoclavi di varia foggia e misura si succedono l’una alle altre controllate soltanto da sensibilissimi manometri e da quadri elettronici di manovra; quintali di materie prime si muovono non più trasportate con recipienti, ma spinte mediante compressori ed aspiratori dai serbatoi fino alle camere di reazione, mentre pochi uomini altamente specializzati, con l’occhio attento sulle apparecchiature di controllo, sovraintendono al continuo movimento automatico delle masse di materie prime e di solventi, che per fasi successive realizzano industrialmente le sintesi studiate nei laboratori con pochi grammi di reagenti” .
E’ la fotografia di uno stabilimento farmaceutico all’inizio degli anni Sessanta. E negli assetti produttivi, nella loro qualificazione, nelle tecnologie e nella qualificazione del management e degli specialisti, non sembra pesare la non protezione brevettuale vigente in Italia fino al 1978.
Si era formato negli anni Cinquanta e Sessanta un gruppo di scienziati e manager di livello internazionale che darà un livello di eccellenza pienamente competitivo in particolare nelle sintesi chimiche e quindi nei principi attivi farmaceutici. E’ la storia di Domenico Marotta, che aveva dato efficienza e prestigio all’Istituto Superiore di Sanità (ISS), con strutture scientifiche d’avanguardia. Tra il 1947 e il 1948, per potenziare la ricerca farmacologica, era riuscito a portare in Italia all’Istituto Ernst Boris Chain, da poco insignito del premio Nobel, e Daniel Bovet, che il Nobel lo avrebbe ricevuto qualche anno dopo. Il Centro internazionale di chimica microbiologica dell’ISS, inaugurato ufficialmente nel 1951 e diretto da Chain, ruppe di fatto il monopolio anglo-americano sulle penicilline. Sappiamo poi come la vicenda Marotta segnò in modo fortissimo la ricerca scientifica in Italia. Però, il Centro di chimica microbiologica, nell’impronta di Chain, fornì conoscenze e competenze sia accademiche sia industriali che si travasarono in particolar modo nel management delle industrie farmaceutiche, specie nelle produzioni di principi attivi, dando all’Italia una elevata reputazione che tuttora permane.

Negli anni Sessanta e Settanta è avvenuto il consolidamento in Italia sia degli stabilimenti di produzione farmaceutica sia degli impianti di materie prime, di intermedi e di principi attivi per l’industria farmaceutica. Mentre le industrie farmaceutiche italiane medio-grandi erano strutturate attraverso le due macro aree di business, quella farmaceutica e quella chimica, le filiali di multinazionali effettuavano investimenti per stabilimenti sia farmaceutici sia chimici.
Quindi il programma produttivo italiano prende forma e si consolida negli assetti produttivi attraverso gli stabilimenti di produzione farmaceutica (Finishing) e quella di intermedi e API, con impianti avanzati in tecnologie tali da servire i più sofisticati mercati internazionali.
Questa strutturazione produttiva ha subìto le sue evoluzioni in termini di focalizzazione di business ed organizzativi. In effetti, l’ondata di “business re-engineering process” degli anni Novanta, l’outsourcing manifatturiero, la separazione tra attività di ricerca, commercializzazione e manifatturiera, la tendenza a considerare quest’ultima quasi come un’industria a sé stante sono tutti elementi che collocano in un’ottica differente il mondo della produzione farmaceutica.
Peraltro, le strategie di focalizzazione sulla ricerca e sul marketing farmaceutico tendono a separare in particolare la produzione chimica, anche per ragioni di più scarsa redditività dei mercati internazionali e delle materie prime di prodotti che escono da brevettabilità ed entrano nei generici.
La trasformazione degli assetti produttivi del mondo farmaceutico sta sperimentando nuove strade spezzando modelli operativi precedenti. Ne sono esempio la riduzione dei siti produttivi, la scelta di stabilimenti per area di prodotto (solidi oppure orali oppure iniettabili, etc.), il largo uso di outsourcing, nuovi investimenti nel biomanufacturing. E comunque sia si consolida la visione strategica del manifatturiero come business a sé stante, non più verticalmente integrato. Per talune aziende il manifatturiero non è “core business” e dunque il prodotto può essere costruito o acquistato da terzi.
Accanto a questi fenomeni, se ne stanno verificando altri, tra i quali è molto interessante quello dello “stabilimento virtuale”. Ricalca concettualmente, seppure con contenuti di networking profondamente differenti, il criterio di “R&S virtuale”. Si tratta da parte dell’azienda di definire le produzioni da effettuare all’esterno, al limite riducendo o chiudendo suoi stabilimenti, e di pianificare, effettuare il technology transfer, controllare i produttori in outsourcing, le cosiddette “third parties”, in modo da realizzare l’obiettivo produttivo non in casa ma attraverso appunto terze parti.
Per talune multinazionali queste “virtual plants” sono divenute sistema globale nei vari mercati e sono gestite da un management apposito che in luogo di controllare un sito produttivo con le sue facilities ed organizzazione, coordinano produttori esterni come se fossero linee produttive o di confezionamento. Questo management ha la responsabilità produttiva verso le terze parti, il coordinamento tecnologico, quello della Qualità, quello del Supply. Quindi il prodotto finito sullo scaffale della farmacia proviene da un complesso sistema di network produttivo affidato a terzi e coordinato e garantito dal management della “virtual plant”. [/member]