Photo by Leone Venter
Non passa giorno che non si legga o si senta parlare di come la tecnologia e la complessità stiano mutando le condizioni di lavoro. In ogni settore. Figurarsi nel mondo delle aziende. E ciò accade ovviamente anche nel settore del medical devices. Ambiente di per sé fortemente apportatore di tecnologia e cambiamento. Appare allora lecito, specie per chi lavora nel settore, domandarsi come le aziende si stiano orientando ed indirizzando in relazione a questi cambiamenti.
Li subiscono? Li gestiscono? Li anticipano? E queste novità che impatto hanno?
Assobiomedica Servizi ha svolto a riguardo, col nostro supporto, una survey che aveva, provocatoriamente, il titolo: “Digital approach e big data: driver del cambiamento?”. Il punto interrogativo è stato voluto in quanto si è voluto indagare se e come questi spunti di cui tutti parliamo stiano realmente agendo. E qui sono partite tutta una serie di domande basate sul “Non è che forse…?” … si stanno enfatizzando troppo fenomeni che in realtà sono meno pervasivi di quanto ci si immagini? …solo le grandissime multinazionali hanno lo spessore numerico per affrontare certi cambiamenti? …molte aziende presenti in Italia hanno dimensioni ed organizzazioni solo commerciali e distributive che più di tanto non possono / vogliono fare? … ci stiamo forse preoccupando troppo?
Interessanti gli esiti della survey. Probabilmente specchio di un settore che in materia sta maturando una sua consapevolezza organizzativa che richiede ancora tempi per avvicinarsi al “cugino ricco e potente” del farmaceutico.
Il panel delle aziende che ha risposto ha innanzitutto evidenziato che i cambiamenti sono egualmente dettati da iniziative spinte dalle Corporate (nelle aziende multinazionali) che da manager locali.
I cambiamenti che derivano sono: modifiche all’organigramma, inserimento di nuove direzioni / funzioni aziendali (es. Chief Digital Officer), potenziamento di strutture esistenti.
In termini di impatto sul personale per fortuna non si sono rilevate riduzione di effettivi, ma anzi meritori sforzi organizzativi per la riqualificazione degli stessi con la definizione di nuovi ruoli quali il Process automation manager, il Data analyst, l’Esperto in I.A. (intelligenza artificiale), il Digital Marketing Manager.
Relativamente all’area commerciale si assiste a trasformazione dei processi di vendita, creazione di servizi innovativi spesso assistiti da sviluppo di app specifiche, creazione di strutture di «market access» (sul modello del farmaceutico), inserimento della funzione «digital marketing».
Più modesto l’impatto in fase di verifica preventiva delle competenze del candidato. La maggior parte delle aziende non sa come accertare le relative competenze “digital” (la procedura si esaurisce in una verifica delle competenze informatiche di base, procedura sicuramente utile ma da sola non sufficiente a verificare alcuna capacità di competenze digital).
Ulteriore stimolo emerso è che talvolta i candidati per alcuni di questi ruoli innovativi non si sa dove andare a prenderli. Ovviamente, come sempre, chi parte per primo è avvantaggiato e chi arriva dopo dovrà pagare un prezzo più alto per uniformarsi, non fosse altro per andare a ricoprire alcune caselle organizzative dovendo “rubacchiare” competenze da aziende concorrenti.
Evidentemente su questo tema c’è bisogno di dare supporto alle aziende del settore.
Un ulteriore elemento di riflessione derivante da una mappatura effettuata fuori dal contesto della survey attesta che le politiche di molte multinazionali volte ad un sempre più massivo accentramento di competenze e tecnicalità su centri posti in altri Paesi (pensiamo solo alle strutture di Talent Acquisition che presidiano sempre più i processi di selezione) sono subite e mal tollerate dal management locale. Spesso, infatti, contrariamente alle intenzioni delle case madri, questi processi portano una complessità organizzativa con dispersione di tempo e complicanze che cadono in testa a chi poi operativamente deve gestire la singola attività. E riducono il margine di autonomia del management locale.
Continuando su questo filone un altro fenomeno che abbiamo verificato in molti casi è che, sempre per politiche corporate, le subsidiaries italiane di multinazionali devono passare attraverso provider che stanno all’estero che talvolta non hanno nemmeno un presidio in Italia. A ciò si aggiunga la grave difficoltà comportata dalla complessità normativa in tema di diritto del lavoro che non rende notoriamente il nostro Paese “facile” per le politiche assunzionali / inquadramentali. Anzi! Non sono quindi rari i casi di funzionI HR che devono spendere tempo con provider e candidati per cercare di rendere uniformi e compatibili profili lavorativi diversi in termini di inquadramento e retribuzioni. Con forti perdite di tempo. E, talvolta, di candidati…