Storie di Uomini & Aziende

Due italiani in California: Roberto Crea & Napoleone Ferrara

Roberto Crea, scienziato calabrese, creatore dell’insulina sintetica, ha sfiorato il premio Nobel. Genetista molecolare che ha compiuto l’iter di studi tra Messina e Pavia è tra i fondatori di Genentech, la compagnia californiana che nel 2009 è entrata a far parte definitivamente del gruppo Roche.

Con il gene dell’insulina Crea si afferma, giovanissimo, come ricercatore nella ultracompetitiva arena americana.

Crea era arrivato in California da Pavia dove si era laureato in chimica biologica, passando per l’Università di Leiden, in Olanda, dove aveva incominciato a interessarsi di sintesi dei nucleotidi, le unità fondamentali che compongono il Dna. Non erano ancora gli anni del Progetto Genoma e della corsa alla lettura del codice della vita. Allora gli scienziati non cercavano i geni, pescandoli con sonde all’ interno delle cellule, ma li costruivano sinteticamente, nucleotide dopo nucleotide: era la chimica a dettare legge. «Non è stata una mia intuizione a spingermi verso “questo territorio di indagine scientifica”», racconta Crea. «Il suggerimento mi venne dal professor Francesco Campagnari del Centro di ricerche di Ispra».

La ricerca di Crea era finanziata da Genentech. E il gene dell’insulina diventa una miniera d’oro per la piccola azienda. Grazie a questo gene e a piccoli batteri ingegnerizzati, l’azienda, di cui Crea diventa azionista e Direttore delle Ricerche, comincia a produrre il farmaco per curare il diabete e finisce quotata in borsa.

Crea scopre che l’iniziativa privata non soltanto consente di trovare i mezzi per la ricerca, ma premia anche economicamente. Decide dunque di mettersi in proprio. Una scelta, allora controcorrente, che è diventata la regola negli ultimi anni. A ventinove anni Roberto Crea fonda la Creative BioMolecules, una piccola società di biotecnologie, quotata poi in Borsa grazie a scoperte come quella del fattore di crescita dell’osso, una proteina che accelera la guarigione delle fratture.  «A quell’ epoca – dice – dividevo un appartamento con Robert Swanson, uno dei fondatori della Genentech. Veniva dal famoso Mit, il Massachusetts Institute of Technology di Boston, ed era specializzato nel settore manageriale.  Confrontandoci e discutendo, ho capito che risolvere un problema aziendale richiede lo stesso esercizio cerebrale che serve allo scienziato per affrontare un quesito scientifico.»

Le scoperte e le idee di Crea sono molteplici. Mentre lavora in Neurex, azienda di cui era diventato azionista attraverso un’altra delle sue società, la Creagen, pensa di sfruttare il veleno di una conchiglia che vive nei mari delle Filippine come farmaco antidolore. Nel ‘ 98 Neurex viene assorbita dalla scozzese Elan, ma la Scozia non attira Crea che si ritrova, a 49 anni, quasi pensionato.

Durante i suoi viaggi in Italia, scopre una macchina che snocciola le olive prima della spremitura e permette di ottenere un olio più puro, senza quei residui tossici, contenuti nei noccioli. Poi l’intuizione del ricercatore. Mentre osserva il processo di separazione dell’olio dall’ acqua di vegetazione nota che quest’ultima diventa rapidamente scura se lasciata all’aria. L’acqua di vegetazione contiene sostanze antiossidanti, i polifenoli, cinquecento volte più concentrati che nell’olio. Perché non estrarre questi antiossidanti, difficili da sintetizzare, e non sfruttarli in medicina, visto che hanno proprietà benefiche per l’organismo? Così Crea pensa di produrre e di lanciare sul mercato americano, come integratore dietetico, un concentrato di antiossidanti per la prevenzione dell’arteriosclerosi e dell’invecchiamento. Una sola pasticca fornisce una quantità di antiossidanti pari a quelli contenuti in un quarto di litro d’olio, l’ingrediente principale della dieta mediterranea. Inoltre a Metaponto esisteva una struttura di ricerca finanziata anche dalla Regione Basilicata. Con la nuova società, realizzata insieme a Antonio Mele, un ricercatore con esperienza nel campo delle biotecnologie, acquisisce un pacchetto azionario nella Metapontum Agrobios, con l’idea di tradurre in pratica gli spunti che arrivano dalla ricerca di base.

«Quando lessi nel 1978 un lavoro scientifico che annunciava la sintesi del gene dell’insulina umana e guardai i nomi dei ricercatori, pensai che R. Crea fosse un giapponese. Gli altri autori della scoperta si chiamavano T. Hirose, A. Kraszewski e K. Ikatura». Soltanto qualche tempo dopo Antonio Mele, scoprì che Crea si chiamava Roberto e che era italianissimo, anche se viveva da qualche tempo negli Stati Uniti e lavorava in California.

La società Metapontum Agrobios, costituita nel 1985 come consorzio fra Regione Basilicata ed ENI, e nel 2013 acquisita dall’ALSIA, è oggi una Società impegnata in attività per il trasferimento dell’innovazione in agricoltura e nel sistema agro-industriale attraverso progetti di ricerca e servizi analitici nel settore delle biotecnologie vegetali e dell’ambiente. I progetti di punta in campo biotecnologico sono rivolti allo sviluppo ed all’applicazione di tecnologie innovative per la protezione delle colture da virus ed insetti, per il miglioramento della qualità di piante di interesse agrario ed industriale e per l’ottenimento di sostanze ad alto valore aggiunto da specie vegetali.

Sempre presso Genentech, spicca Napoleone Ferrara, biologo molecolare, ricercatore presso Genentech nel campo della biologia tumorale e della angiogenesi. Laureatosi in Medicina all’Università di Catania, dopo la specializzazione si è trasferito negli States per studiare endocrinologia presso la University of California di San Francisco, una delle migliori scuole mediche degli Stati Uniti. Nel 1998 entra per la prima volta in Genentech. All’interno di unapolitica aziendale che consente ai ricercatori di sviluppare i propri interessi di ricerca, Ferrara prosegue i suoi studi sul possibile ruolo che l’antiangiogenesi può avere nel trattamento del cancro.

Nel 1989 infatti Ferrara effettua la scoperta che ha aperto le porte ai nuovi farmaci per la cura del cancro. Si tratta cioè della identificazione e clonazione di un particolare gene denominato appunto fattore di crescita vascolare endoteliale (VEGF), ovvero una proteina critica nella angiogenesi.

Nel 1993 Ferrara dimostra in modelli preclinici che un anticorpo, l’Avastin, diretto al VEFG, può inibire l’angiogenesi e la crescita dei tumori. Gli studi clinici con una versione umana dell’anticorpo iniziano nel 1997 e si completano nel 2003 con la conclusione positiva della fase III del test clinico.

Il farmaco ad oggi approvato è appunto l’Avastin per il cancro colon rettale e al polmone. Sono in fase avanzata invece le sperimentazioni cliniche del farmaco anche per altri tipi di cancro.

La scoperta di Ferrara ha portato ad un grande successo economico per Genentech e il fattore di crescita vascolare endoteliale (VEGF) rappresenta la più importante scoperta del ricercatore siciliano. Ferrara è infatti riuscito per primo, a clonare e purificare in laboratorio questa proteina determinante nel favorire la crescita del tumore.

La classifica del Via-Academy sui principali scienziati italiani nel mondo lo colloca al secondo posto.

Proprio il 21 settembre 2010, Ferrara si è aggiudicato il premio Lasker per la sua scoperta del VEFG e lo sviluppo di terapie per malati affette da degenerazione maculare, principale causa della cecità umana in età adulta. Il premio Lasker si assegna agli scienziati che hanno cambiato il mondo.

Lo stesso Ferrara, ripercorrendo le tappe che lo hanno portato a diventare uno scienziato in odore di Nobel, ricorda se stesso come un laureato in medicina che frequentava la specializzazione in Ginecologia, quando poi il professor Umberto Scapagnini, appena tornato dagli Stati Uniti, lo aveva aiutato a ottenere una borsa di studio all’università di San Francisco.

Ma nonostante l’idea iniziale di ritornare in Italia dopo al massimo due- tre anni, Ferrara non ha potuto resistere alle grandi possibilità offerte nel fare ricerca proprio sulle sue osservazioni ed interessi iniziali.