photo by Annie Spratt
In Danimarca la insegnano ai bambini, in un’ora alla settimana nella “Klassens tid”. Gli alunni imparano ad aiutare i compagni e a competere solo con se stessi
La Danimarca, secondo il World Happiness Report dell’Onu – che dal 2012 classifica la felicità di 155 Paesi al mondo – è uno dei Paesi più felici a livello globale. Il fatto che l’insegnamento dell’empatia sia obbligatorio dal 1993 all’interno delle scuole in Danimarca è un fattore che contribuisce secondo alcuni studi alla felicità del Paese.
L’empatia supporta la capacità di costruire relazioni. Previene il bullismo. Porta ad avere successo nel lavoro. Promuove la crescita di leader, imprenditori e manager. I “teeneger empatici” tendono ad avere più successo perché risultano essere più orientati agli obiettivi rispetto ai coetanei più individualisti, egoisti e narcisisti.
Nelle scuole della Danimarca un’ora alla settimana è dedicata alla “Klassens tid”, una lezione di empatia per studenti dai 6 ai 16 anni. È una parte fondamentale del curriculum per i danesi. Durante la Klassens tid i ragazzi discutono dei loro problemi e tutta la classe, insieme all’insegnante, cerca di trovare una soluzione sulla base di un ascolto e una comprensione reali. Se non ci sono difficoltà particolari da affrontare, i bambini semplicemente si rilassano insieme, spronati a sviluppare la “hygge”, termine non facile da tradurre. È un concetto fondamentale per il senso di benessere dei Danesi. Il termine deriva dal norvegese antico, dove aveva un significato vicino a “benessere”. Apparso per la prima volta in un testo in danese intorno alla fine del XVIII secolo, da quel momento è entrato a far parte della lingua. Definisce un sentimento, un’atmosfera sociale, un’azione correlata al senso di comodità, sicurezza, accoglienza e familiarità. Una felicità quotidiana che contribuisca a generare un senso di appagamento nel lungo periodo.
La scrittrice e psicologa statunitense Jessica Alexander, che ha scritto il libro: “The Danish Way of Parenting: What the Happiest People in the World Know About Raising Confident, Capable Kids”, insieme alla psicoterapeuta danese Iben Sandahl, tradotto in 21 lingue, ha condotto una ricerca sul campo per capire in che modo i Danesi insegnano l’empatia.
«I Danesi danno grande spazio al gioco libero dei bambini, che insegna l’empatia e la capacità di negoziazione. Giocare è considerato nel Paese un mezzo educativo fin dal 1871», spiega Jessica Alexander.
Una tra le modalità scelte è il teamworking, cioè il lavoro di squadra. Il 60% dei compiti a scuola viene svolto attraverso attività di gruppo. Non si insegna ad eccellere sugli altri, ma a supportare chi non è altrettanto dotato. La competizione è esclusivamente con se stessi. Le scuole danesi non offrono premi agli studenti che eccellono nelle materie scolastiche o negli sport, per non creare conflitti e della competizione negativa. Praticano invece la cultura della motivazione a migliorare, misurata esclusivamente nei confronti dei ragazzi stessi.
Un altro strumento è l’apprendimento collaborativo. Vengono inseriti insieme in una stessa classe bambini con differenti punti di forza e debolezza in diverse materie, cosicché si aiutino a vicenda, lavorando insieme a differenti progetti. Questo metodo insegna ai bambini fin da piccoli che avere successo da soli non è possibile e che invece aiutare gli altri porta a risultati migliori per tutti.
«Un bambino molto portato per la matematica, se non impara a collaborare con i suoi compagni, non andrà molto avanti. Avrà bisogno di aiuto in altre materie. È una grande lezione insegnarlo ai bambini fin da piccoli, dato che nessuno può andar avanti da solo nella vita», spiega Jessica Alexander. Che aggiunge: «Molti studi dimostrano che, quando si spiega qualcosa a qualcuno – come un problema di matematica per esempio – non solo si impara la materia molto meglio di quanto non si farebbe memorizzandola da soli, ma anche si costruiscono le nostre capacità di empatia, che oltretutto si rafforzano dovendo stare attenti al modo in cui l’altra persona accoglie l’informazione, e dovendo mettersi nei suoi panni per capire come funziona l’apprendimento».