Secondo Wall Street il modello del capo azienda deve essere Salieri, non Mozart. Chi comanda deve essere solido, non genio e sregolatezza. La rivoluzione hightech ha bruciato in pochi anni l’era pionieristica dei leader alla Steve Jobs, tutto genio e sregolatezza come il musicista salisburghese. Oggi al vertice dei colossi mondiali si sta consumando la vendetta dei Salieri. I capi pragmatici, prevedibili, di metodo, come il compositore veneto – eclissato alla corte di Vienna dalle note in libertà di Mozart – sono tornati di moda ora che la rivoluzione digitale deve consolidare in business che durino le intuizioni dei suoi irrepetibili guru. L’era degli uomini soli al comando della corsa è finita, secondo questo studio.
Sappiamo come le idee sulla leadership tendono a cambiare anche secondo le mode manageriali. In questo periodo il pendolo sembra oscillare lontano dal leader egocentrico, ispirato e trascinatore ma verso chi è solido ed è competente nella performance ed execution. All’interno dell’ultima lista dei cento migliori Ceo, per Harvard Business Review, 24 sono quelli laureati in ingegneria. Nel commento su questo dato, si tende a fornire la spiegazione per cui il background in ingegneria fornisce concretezza e pragmatismo.
All’inizio del ventesimo secolo, gli studenti si affannavano ad identificare i tratti personali dei leaders di successo attraverso le teorie del “great man”. Ma tali caratteristiche sono state difficili da trovare. E’ stato così fino agli anni Sessanta in cui la “situational leadership” prende piede, per cui generi differenti di organizzazione e di contesti di business necessitano di differenti tipi di executives.
Negli anni Novanta, allorché le organizzazioni diventano più complesse e il turnover degli executives è un fenomeno frequente, l’attenzione è rivolta alle doti individuali e non al contesto. Qui si sviluppa la distinzione tra “managers” e “leaders”: i primi hanno successo sull’efficienza dei processi e delle procedure, mentre i secondi nella capacità di guidare il cambiamento. Il messaggio per i leaders è di evitare le attività “noiose” dei managers. Allorchè Jean-Francois Manzoni, direttore del corso di leadership per senior-executives all’Insead, chiedeva come questi allocavano il proprio tempo, ha trovato che questi si dedicavano nel “mobilising people” (come è della leadership visionaria e ispirata) e molto meno nell’architettare processi e strutture. La gente attribuisce qualità carismatiche ai managers quando questi hanno successo senza sforzi, grazie a straordinarie qualità personali che coinvolgono i dipendenti. Quelli invece il cui successo deriva da cause visibili, come lunghe ore di lavoro, analisi attente e procedure, attraggono meno persone.
Tuttavia in questo periodo si preferisce affidarsi a managers che conoscono il valore di sistemi efficienti e di controllo piuttosto che a leaders ispirati. E l’uscita recente di scena di Chris Viehbacher di Sanofi, di successo, carismatico ma detronizzato dal CdA, o di Bill Gross di Pimco, con stile di leadership temperamentale, conducono verso scelte di managers solidi con approccio team-centrico. “Il leader gestisce il potere, un manager l’organizzazione” è il mantra di Jack Welch, ex numero uno di General Electric e forse il Salieri di maggior successo della storia di imprese globali.
Il Journal of Management ha pubblicato recentemente uno studio proprio su questa differenziazione tra leaders e managers, partendo dal film “Amadeus” di Milos Forman, dove un Mozart carismatico abbaglia l’audience componendo una sonata improvvisa, migliore del suo rivale Salieri. Sembra che oggi sia finito il tempo della retorica rivoluzionaria. Oggi vanno di moda ingegneri capaci di risolvere il problema con la logica e il “pensiero architettonico”.