Interview

Intervista a Serena Tongiani

Innovazione & Ricerca

Executive Q&A

Serena Tongiani è laureata in Chimica Farmaceutica presso l’Università di Perugia con un PhD in Medicinal Chemistry conseguito fra l’Univeristà di Urbino e The University of Kansas. La sua prima parte della carriera si sviluppa in Merck/Schering Plough come Associate Principal Scientist. Nel 2010 entra in Angelini come Head of Preclinical Development presso il Research Center di Pomezia. Dopo circa 2 anni (nel 2012) è nominata R&D Director.

Inoltre, dal Marzo 2015 ricopre anche il ruolo di Chief Scientific Officer.

Q.1 Ci parla del suo attuale ruolo di Chief Scientific Officer di Angelini?

Il CSO è responsabile delle funzioni: Ricerca e Sviluppo, Direzione Affari Regolatori e Direzione Business Development. Queste sono le funzioni chiave per l’implementazione e il mantenimento del portfolio aziendale.  Il CSO  assicura l’integrazione e massimizza le sinergie di tutte le funzioni coinvolte nell’implementazione e mantenimento del portfolio. Presiede a tutti i momenti di innovazioni curando la qualità e il valore scientifico dei progetti. Garantisce, seguendo le indicazioni aziendali, la focalizzazione delle pipeline di ricerca e di business development  nelle aree definite  strategiche che in Angelini sono: Antinfettivi, Sistema Nervoso Centrale e Dolore. Inoltre rappresenta un unico punto di contatto con le funzioni commerciali.

Q.2  Parliamo di R&D nell’industria farmaceutica italiana. Apparentemente ha numeri e strutture limitate e si basa su centri di aziende internazionali italiane (come appunto Angelini, o Chiesi o Menarini). Ma poiché il mondo R&D significa outsourcing, alliances, raccordi con Accademia, il nostro Paese si può considerare vivace e parte a pieno titolo del contesto di ricerca internazionale?

In tutto il mondo R&D significa networking. Non solo con l’accademia, ma anche con start up e centri di eccellenza. L’Italia ha un ottimo bacino accademico e un buon bacino di start up (che fanno ancora un po’ fatica ad emergere nel nostro sistema). Forse manca ancora un po’ di senso di business, soprattutto in ambito accademico, nella ricerca non siamo secondi a nessuno, ma è forse nella parte di trasferimento tecnologico, esecuzione e realizzazione che la nostra accademia può ancora migliorare. Ci sono università che hanno ottimi Tecnology Tranfer Offices, e sono questi che devono generare il ponte giusto per instaurare una relazione con l’industria.

Q.3 La cultura aziendale non vede forse l’innovazione come qualcosa che si pensa appartenga ai laboratori e sia praticamente sinonimo di invenzione operata dai Ricercatori? Oppure innovazione è forse intesa come base per «fare business»?

L’innovazione è parte integrante del Business. Soprattutto per l’industria farmaceutica. Nel landscape di oggi non è plausibile che un’azienda pensi alla propria sostenibilità senza pensare all’innovazione. Innovazione che può essere creata nei propri centri di R&D oppure acquisita, ma la sostenibilità è garantita solo da un livello innovativo alto.

Lavoro in un’azienda che in questo crede e si sta applicando molto bene a garanzia della sostenibilità del portfolio. E’ comunque auspicabile che i programmi e la pipeline di R&D mantengano dei KPI che possano parlare a chi si occupa di business, cioè venga dimostrato il valore del ritorno dell’investimento periodicamente e a vari stage di sviluppo cercando di misurare e valorizzare il rendimento dei contributi quali pubblicazioni e generazione di proprietà intellettuale.

Q.4 Qual è l’approccio di Angelini sull’utilizzo del network scientifico esterno? Come “nuota” l’R&D di un Gruppo come Angelini nella Comunità Scientifica internazionale e nel suo networking così complesso?

Il nostro network scientifico è in continua crescita e include l’accademia, italiana ed estera, così come centri di eccellenza, centri di ricerca di piccole e grandi aziende. Abbiamo disegnato un modello innovativo di pipeline dinamica nel quale gestiamo i progetti valorizzandoli ad ogni step e disegnando accordi con centri di eccellenza per il loro sviluppo totale o parziale.

Il nostro modello di collaborazione cerca di instaurare vere e proprie partnership dove le competenze vengano sinergizzate fra accademia e industria per creare una soluzione vincente per entrambe le parti e per il beneficio dei progetti.

Q.5 E’ interessante vedere il BD nell’area scientifica. Quale è la logica? Acquisizione nuove molecole/prodotti? Alleanze/Joint Ventures? Attività connesse a strategie di innovazione del Gruppo che potrebbero avere una regia scientifica?

Il BD è una funzione fondamentale per l’implementazione del portfolio.

Le linee guida e la focalizzazione per aree del BD devono coincidere con quelle dell’R&D in modo da creare una crescita costante della pipeline che sappia “aspettare” l’innovazione a lungo termine generata dall’R&D, mentre il BD implementa in tempi più rapidi. L’armonizzazione delle due funzioni ci permette inoltre di essere molto più forti in termini di credibilità di fronte a partner che riconoscono nell’R&D di un’azienda la competenza per poter valutare e poi mantenere in portfolio un prodotto. Le faccio un esempio di come la sinergia fra le due funzioni ha ben funzionato per noi: una delle nostre core area sono gli antinfettivi, con un impegno dell’azienda nel controllo delle infezioni a 360 gradi, cura e prevenzione.

L’impegno R&D in progetti innovativi molto promettenti dà al BD una notevole credibilità di competenza nell’area e le acquisizioni in questa area necessitano di un R&D competente per garantire lo sviluppo futuro dei prodotti.  Lo stesso vale per le competenze regolatorie. Un R&D e un BD che vanno a braccetto sono una garanzia di armonizzazione, inoltre il BD ha a sua disposizione la competenza dell’R&D per valutare progetti e acquisizioni anche dal punto di vista scientifico.

Q.6 Come viene gestita la sua Organizzazione? Per aree terapeutiche di innovazione oppure per aree di innovazione incrementale di prodotti presenti?

Dipende un po’ dalle competenze, ma in generale la gestione è per aree terapeutiche. In alcuni settori abbiamo anche mantenuto una diversificazione geografica (come nel regolatorio per esempio).

Q.7 Parliamo di approccio verso le altre funzioni aziendali. In Angelini, R&D lavora con Gruppi multifunzionali che coinvolgono anche Business, Finance, Market Access, Marketing & Sales, etc.?

Assolutamente sì. L’R&D ha rapporti efficaci e costanti con il Market Access per la costruzione di HTA e per la strutturazione dei propri programmi per potenziare il successo di Access, si interfaccia con il Marketing strategico per la valutazione del potenziale dei propri programmi, si interfaccia con le Commercial Operation continuamente per capirne i bisogni e implementare pipeline di supporto … insomma non può che essere uno degli ingranaggi del successo aziendale. Un R&D estraneo al business può risultare poco funzionale per un’azienda come la nostra.

Q.8  “People”. E’ ovviamente un aspetto enormemente importante per il sistema R&D.

Nonostante l’uso di strumentazioni sofisticate, computer simulation, automation dei laboratori, R&D appare ancora un processo “labour intensive” sia nelle strutture aziendali sia in outsourcing. Da qui deriva l’impatto sulla performance R&D della qualità dell’organizzazione e delle risorse.

Esistono processi di sviluppo, carriera, motivazione delle risorse interne oppure si preferisce “comprare” all’esterno competenze?

Lo sviluppo della competenza interna è un valore che deve essere presidiato. Per questo investiamo molto, come azienda, sulla formazione per motivare e sviluppare i talenti. Utilizziamo inoltre la job rotation con lo scopo di promuovere l’acquisizione di nuove competenze e favoriamo le esperienze internazionali nei paesi in cui operiamo.  Non si lavora però a risorse infinite ed è velleitario pensare di poter contenere tutte le competenze necessarie a specifici sviluppi, è quindi importante essere pronti a “comprare” qualora serva e a saper scegliere le competenze e le persone più adeguate agli obiettivi e alla propria organizzazione.

Q.9 Parliamo di lei. Formatasi accademicamente in Italia, laurea e PhD, ricercatrice, si sposta negli USA dove sviluppa la sua carriera nell’R&D farmaceutica. Potrebbe apparire un “cervello in fuga” che poi rientra. La sua è una storia di eccezione rispetto ai suoi colleghi che sono approdati negli States, in Giappone o in altri paesi?

Rientrare nel contesto di ricerca Italiana dopo una lunga esperienza all’estero non è facile. Devo confessare che un po’ di spirito di adattamento è necessario, il sistema di ricerca sia pubblico che privato nel panorama italiano ha ancora qualche punto da smussare, abbiamo prima citato il senso di business che alla nostra accademia ancora manca, e mancano centri completamente dedicati alla ricerca sullo stile delle Research University.

Quello che però mi piace rappresentare è che è possibile, rientrare da una esperienza anche lunga all’estero e metterne a frutto competenze ed esperienza acquisita. Io sono però rientrata in un ambiente non accademico e, solo a titolo di esempio, nella struttura di RR&D (Research Regulatory and Business Development), Angelini ha recuperato circa 5 cervelli italiani dislocati in giro per il mondo, e mi sento di parlare per tutti dicendo che non è facile, ma il rientro è sicuramente possibile anche con soddisfazione.

Q.10 Quali differenze inizialmente ha percepito tra le strutture di ricerca americane e quelle italiane? E la qualità delle risorse scientifiche professionali?

Negli Stati Uniti esistono delle Research University e già questo dà la misura di quanto l’investimento in professionalità impegnate nella ricerca sia centrale. Da noi ci sono tanti studenti validi, perché la qualità della preparazione accademica ha ancora standard piuttosto elevati, ma poi, una volta concluso il percorso universitario, non vengono valorizzati e quindi preferiscono spostarsi in altri Paesi. Questa assenza di lungimiranza porta a perdere risorse importanti che poi magari andranno a sviluppare prodotti e processi innovativi altrove.  In Italia, negli ultimi anni, si è registrato un importante cambiamento nell’industria farmaceutica che ha portato ad impiegare ingenti risorse nella ricerca, anche a fronte di assumere rischi economici. Quel che ancora è assente, però, è una vera politica industriale. Le strutture di ricerca, soprattutto negli USA, hanno un’impronta orientata al business e alla ricerca del ritorno dell’investimento che a noi ancora manca. E’ un po’ una forma mentis che soprattutto i nostri ricercatori accademici dovrebbero fare propria.