Lo dimostrano ormai molti studi empirici: l’ottimismo fa bene anche al rendimento professionale ed è una chiave decisiva per il successo nella sfera economica.
In ogni campo – dal commercio all’istruzione, dalle relazioni sociali allo sport, senza eccezioni di sorta – gli ottimisti superano sistematicamente le performance dei pessimisti. Sul lavoro, sono più bravi a gestire lo stress e ad affrontare le difficoltà e mostrano un più alto grado di employee engagement, di coinvolgimento e partecipazione nei confronti dell’azienda. Di conseguenza, le persone solari hanno maggiore probabilità di ottenere una promozione e raggiungono più facilmente posizioni di vertice. I pessimisti, viceversa, sono tre volte più inclini a lasciare il posto di lavoro rispetto agli ottimisti: in altre parole, le persone cupe non solo rendono meno quando le cose vanno bene, ma sono anche molto più propense ad abbandonare la nave quando si mettono male.
E poi c’è la questione dell’engagement. Non è una novità che ottimismo e coinvolgimento siano strettamente collegati: più il lavoratore è ottimista, più si sente coinvolto. Da numerosi studi recenti emerge inoltre un nesso diretto tra il coinvolgimento dei dipendenti ed il successo dell’azienda. Nel 2012, per esempio, Gallup ha condotto un’imponente meta-analisi su 263 ricerche di 192 organizzazioni di 49 settori e 34 Paesi, concentrandosi in particolare sul rapporto tra l’engagement e nove fattori di rendimento: dal turnover all’assenteismo, alla redditività e alla produttività. Nel complesso, i lavoratori “coinvolti” rendono molto di più di quelli “non coinvolti”: in alcune categorie il vantaggio in termini di performance sfiora il 50%. Nei casi più estremi, i primi hanno un tasso di successo quattro volte superiore rispetto a quello dei secondi.
Per capire il rapporto tra ottimismo e mondo degli affari, il punto di partenza migliore è rappresentato dai dati statistici. Nel corso degli ultimi decenni, esperti delle più svariate discipline – dall’economia alla neuroscienza alla psicologia, per citarne solo alcune – hanno tutti evidenziato i benefici che possono derivare dalla fiducia in un domani migliore, soprattutto in ambito aziendale. Su questa cosa, dunque, non ci sono dubbi: l’ottimismo fa bene alla carriera.
I VANTAGGI DEGLI OTTIMISTI SUI PESSIMISTI. Il pioniere di questi studi è stato uno psicologo dell’Università della Pennsylvania, Martin Seligman. Verso la metà degli anni Ottanta, la compagnia assicurativa MetLife gli sottopose un problema spinoso: l’azienda assumeva ogni anno 5.000 venditori e per formarli spendeva 30.000 dollari a testa, ma nel giro di dodici mesi la metà dei nuovi arrivati lasciava il posto, e quattro su cinque se ne andavano dopo cinque anni. Agli inizi della sua carriera professionale Seligman si era dedicato allo studio degli effetti del fallimento e dell’impotenza, ma il suo interesse si era poi spostato sulle potenzialità, in termini di miglioramento delle performance, del polo opposto dello spettro emotivo, e in particolare sul potere dell’ottimismo. MetLife gli diede la possibilità di mettere alla prova le sue idee.