Aggiorniamo qui di seguito il “chi è” al vertice del settore farma. Sono informazioni disponibili, significative, anche se non complete.
Ma durante il 2019 vi sono state nomine esemplicative? Guardiamo le farma ad azionariato familiare italiano, in particolare il cosiddetto gruppo delle Fab13. Risalta la nomina di Elcin Barker Ergun, proveniente dal ruolo di Executive VP, head of New Business in Merck Group quale nuovo CEO del Gruppo Menarini. Insieme al Presidente Eric Kornut, sembra indirizzare il Gruppo ad un sistema di governance manageriale da impresa globale. Altra new entry è quella di Pierluigi Antonelli a capo del business farmaceutico del Gruppo Angelini. Qui invece la
governance del Gruppo sembra andare in senso contrario rispetto a quella di Menarini, in quanto vi è la forte presenza degli azionisti, attraverso le vice presidenze operative nella holding dei membri della famiglia di controllo.
Senza scossoni significativi, ma con ricambi normali, le nomine ai vertici di subsidiaries di multinazionali.
D’altro canto, settori quali biotech/rare diseases, generici, veterinari, consumer healthcare, nutraceutici, CMO, Api – di azionariato italiano o multinazionale – vivono transizioni di vertice senza particolari scossoni.
Il nostro panorama è alquanto stabile. Il turnover è moderato. Al contrario fa effetto invece la facilità di cambiamenti ai vertici delle aziende quotate statunitensi nel 2019. Da gennaio 2019 le partenze eccellenti sono state 1332 (+ 13% rispetto al 2018). Nel farmaceutico l’uscita si è moltiplicata. In 10 mesi sono usciti 55 Ceo (+45% rispetto all’anno precedente).
Gli esodi (volontari o forzati, causati da scandali, performances o normali successioni) hanno normalmente un attore: il Ceo.
In Italia i vertici aziendali del settore farma sembrano invece vivere ricambi dominati dal buon senso e con esclusione di colpi di scena. Con differenziazioni tra imprese ad azionariato italiano e quelle filiali di aziende internazionali estere.
In proposito, vi è una prima constatazione da valutare: al vertice operativo sia delle imprese italiane che subsidiaries di multinazionali vi sono in prevalenza executives di nazionalità, cultura e carriera italiani.
Le aziende italiane sono comunque caratterizzate dalla presenza operativa al vertice dei membri della famiglia degli azionisti, supportati dal management.
Si sta facendo strada la presenza di executives non italiani: Menarini, con CEO la Signora Barker Ergun; Italfarmaco, con lo spagnolo Carlos Barallobre come Ceo; Dompè, che ha visto l’ingresso di Eriona Gjinukaj. Positivo l’atteggiamento dei fondi entrati nell’azionariato di imprese italiane. In effetti vi è la conferma del management precedente, specie se rappresentato
dai precedenti azionisti (Andrea Recordati, Alessandro Del Bono in Mediolanum Farmaceutici, Fabrizio Chines in Sifi), Così come per le CMDO, prevalentemente in mano ad azionisti o fondi esteri che puntano su managers italiani con forte competenza tecnico-manifatturiera (tra gli altri: Thermo Fisher, Delpharm, Haupt Pharma/Aenova, Catalent, Corden Pharma, Avara Pharmaceutical). Lo stesso dicasi per il settore API (Recipharm, TAPI, etc.).
Curioso osservare, ad esempio, come le aziende francesi posizionino al vertice, nella maggioranza dei casi, manager di nazionalità francese a differenza delle filiali di aziende svizzere. Più “laiche” in termine di nazionalità dei Ceo le filiali di aziende tedesche, inglesi, del Nord Europa o giapponesi. E’ pur vero che per le multinazionali esiste la prevalente logica dei piani di carriera dei propri executives, indipendentemente dalla loro nazionalità. Quali possono essere le ragioni di questo equilibrio nei vertici aziendali farma nel nostro Paese?
Un mercato comunque in crescita e stabile che necessita della conoscenza delle dinamiche di business, normative e culturali italiane, ma in uno scenario fortemente internazionale. La qualità maggiore che gli azionisti richiedono al CEO è di “operational excellence” per conseguire i risultati pianificati, basati su competenze strategiche e gestionali specifiche per il nostro mercato. Un recente studio di McKinsey (The mindsets and practices of excellent CEOs – Ottobre 2019) esordisce così: “Una società ha un solo ruolo senza pari in azienda: il CEO. E’ il titolo più potente e ricercato nel mondo degli affari, più eccitante, gratificante. Ciò che il Ceo controlla rappresenta il 45% delle prestazioni di un’azienda… Solo tre amministratori delegati di nuova nomina su cinque sono all’altezza delle aspettative di rendimento nei primi 18 mesi di loro lavoro. Gli elevati standard e le aspettative generali di azionisti, clienti e dipendenti creano un ambiente di scrupoloso controllo in cui una mossa può costruire o deragliare una carriera…”.